Falanghina del Sannio Doc

Documento
Regione

Ministero delle politiche agricole
alimentari e forestali
DIPARTIMENTO DELLE POLITICHE COMPETITIVE,
DELLA QUALITÀ AGROALIMENTARE, IPPICHE E DELLA PESCA
DIREZIONE GENERALE PER LA PROMOZIONE DELLA QUALITÀ AGROALIMENTARE E DELL’IPPICA
UFFICIO PQAI IV
DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DEI VINI A DENOMINAZIONE DI
ORIGINE CONTROLLATA
«FALANGHINA DEL SANNIO»
Decisione di approvazione o modifica Pubblicazione
Approvato con DM 30.09.2011 G.U. 236 - 10.10.2011 (S.O. n.217)
Modificato con DM 30.11.2011 G.U. 295 - 20.12.2011
Sito ufficiale Mipaaf - Qualità - Vini DOP e IGP
Modificato con DM 07.03.2014 Sito ufficiale Mipaaf - Qualità - Vini DOP e IGP
Articolo 1
Denominazione e vini
1.1) La denominazione di origine controllata «Falanghina del Sannio» è riservata ai vini bianchi
che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione,
per le seguenti categorie e tipologie:

  1. «Falanghina del Sannio»
  2. «Falanghina del Sannio» spumante
  3. «Falanghina del Sannio» spumante di qualità
  4. «Falanghina del Sannio» spumante di qualità metodo classico
  5. «Falanghina del Sannio» vendemmia tardiva
  6. «Falanghina del Sannio» passito
  7. «Falanghina del Sannio», «Falanghina del Sannio» spumante, «Falanghina del
    Sannio» spumante di qualità, «Falanghina del Sannio» spumante di qualità metodo
    classico,
    «Falanghina del Sannio» vendemmia tardiva, «Falanghina del Sannio» passito, anche con la
    specificazione di una delle seguenti sottozone:
    I. «Guardia Sanframondi o Guardiolo»
    II. «Sant’Agata dei Goti»
    III. «Solopaca»
    IV. «Taburno»
    1
    Articolo 2
    Base ampelografica
    2.1) I vini “Falanghina del Sannio” nelle tipologie indicate all’art. 1 sono ottenuti da uve
    provenienti da vigneti aventi, in ambito aziendale, la seguente composizione varietale:
    Falanghina minimo 85%; per la restante parte possono concorrere altri vitigni a bacca bianca
    non aromatici, idonei alla coltivazione nell’ambito della provincia di Benevento, da soli o
    congiuntamente fino ad un massimo del 15%.
    2.2) La denominazione di origine controllata «Falanghina del Sannio», seguita dalla
    menzione spumante e spumante di qualità, con o senza specificazione della sottozona è
    riservata al vino spumante ottenuto, con il metodo della rifermentazione in autoclave da uve
    provenienti da vigneti composti, nell’ambito aziendale, dal vitigno Falanghina min.85% .
    2.3) La denominazione di origine controllata «Falanghina del Sannio», seguita dalla
    menzione spumante di qualità metodo classico, con o senza specificazione della sottozona è
    riservata al vino
    spumante ottenuto, con il metodo della rifermentazione in bottiglia, da uve provenienti da vigneti
    composti, nell’ambito aziendale, dal vitigno Falanghina min. 85%.
    Articolo 3
    Zona di produzione delle uve
    3.1) zona di raccolta delle uve
    La zona di raccolta delle uve per l’ottenimento dei vini atti ad essere designati con la
    denominazione di origine controllata «Falanghina del Sannio», accompagnata o meno dalle
    specificazioni previste dal presente disciplinare, comprende l’intero territorio amministrativo della
    provincia di Benevento, così come già delimitata con decreto ministeriale 5 agosto 1997 pubblicato
    nella G.U. n 204 del 2 settembre 1997.
    3.2) delimitazione della sottozona "Solopaca”
    La zona di produzione delle uve comprende l'intero territorio dei comuni di Solopaca, Castelvenere,
    Guardia Sanframondi, San Lorenzo Maggiore e parte del territorio dei comuni di Cerreto Sannita,
    Faicchio, Frasso Telesino, Melizzano, San Lorenzello, San Salvatore Telesino, Telese e Vitulano,
    tutti in provincia di Benevento, così come già delimitata con DPR 20.09.1973 modificato con DM
    12.10.1992 e DM 30.10.2002 pubblicato nella G.U. n 271 del 19 novembre 2002.
    Tale zona è così delimitata: partendo dalla confluenza dei confini comunali di San Lorenzo
    Maggiore, Guardia Sanframondi, San Lupo e Cerreto Sannita in località Ripe del Corvo, la linea di
    delimitazione segue verso sud il confine orientale prima e meridionale poi di San Lorenzo
    Maggiore, fino ad incrociare quello di Vitulano che segue verso sud sud-est fino ad incontrare la
    mulattiera a quota 349 che segue verso sud-ovest e da quota 305 si immette sul sentiero, verso
    ovest, passando per le quote 272, 162, 165 e 219, dove incontra il confine del comune di
    Solopaca e lo percorre verso sud e poi ovest fino ad incontrare quello di Melizzano che segue verso
    ovest fino ad incrociare in località Acquaviva la strada Solopaca-Frasso Telesino. Prosegue sulla
    strada per Sant'Agata dei Goti sino al ponte in prossimità della Masseria Calabrese a quota 315. Da
    qui lungo il corso d'acqua, verso sud raggiunge il confine meridionale di Frasso Telesino, lo segue
    verso ovest e poi in direzione nord sino alla strada Dugenta-Frasso Telesino che segue verso nord
    fino in prossimità della quota 165 e poi, sempre lungo la strada, procede verso sud per circa 100
    metri sino a prendere, in direzione ovest, quella che passando per la quota 74 in località
    Torre Maiorano, raggiunge in prossimità della quota 39 la strada Dugenta-Telese, segue questa in
    2
    direzione est per la strada che conduce alla località Piana che costeggia passando ad ovest della
    medesima fino a raggiungere la carrareccia in prossimità della quota 72. Da qui segue una retta che
    raggiunge, superato il torrente Maltempo, l'edificio contrassegnato con il segno convenzionale degli
    opifici sulla strada che porta a Melizzano. Da tale punto segue detta strada in direzione nord-ovest
    sino a congiungersi con quella di Dugenta-Telese, la percorre sino al ponte della Calce da dove
    prosegue, in direzione nord-est, lungo il confine del comune di Solopaca, sino a raggiungere in
    località Pagnano, la carreggiabile che delimita a nord la località Santo Frate. Segue detta strada
    verso ovest per circa un chilometro e 250 metri e piega poi verso nord lungo la scarpata tra le quote
    52 e 45 fino a raggiungere a quota 52 la ferrovia che verso nord attraversa l'abitato di Telese. Segue
    poi la strada che, in direzione est, va ad intersecare il confine comunale di Castelvenere che segue
    poi verso nord fino ad incrociare la strada per Massa La Grotta. Da tale punto di incrocio la linea di
    delimitazione prosegue verso nord-ovest per il sentiero che, passando
    per le quote 114 e 112 raggiunge, in prossimità di quest'ultima quota, la strada per le cave di pietra,
    la percorre per un tratto di circa 350 metri, segue quindi verso nord il sentiero che, passando alle
    pendici della collina Della Rocca e attraverso la località Vigne Vecchie, raggiunge la strada per
    Massa, in prossimità della quota 162, prosegue sempre verso nord lungo questa strada fino quasi al
    centro abitato di Massa, seguendo all'altezza dell'incrocio con la strada per la masseria del Barone,
    quella che aggira ad ovest l'abitato, raggiungendo così la sponda del torrente Titerno. Segue verso
    est la riva del corso d'acqua sino ad incontrare il confine comunale di
    Cerreto Sannita, da qui segue l'affluente di sinistra del torrente Titerno passando a sud del centro
    abitato di Cerreto Sannita fino ad incrociare il sentiero che si congiunge alla strada per il convento
    dei cappuccini in prossimità dei ruderi. Una volta incrociato il sentiero lo segue verso sud
    costeggiando le località Lomia di Spita e Cesine di Sopra e passando per le quote 380, 424, 425,
    433, 415, 417 e 379; raggiunge il confine comunale di Guardia Sanframondi che segue verso est
    raggiungendo, in prossimità delle Ripe del Corvo, il punto di incrocio dei confini comunali da cui
    era iniziata la delimitazione.
    3.32 delimitazione della sottozona “Guardia Sanframondi” o "Guardiolo”
    La zona di produzione delle uve, comprende l'intero territorio amministrativo dei comuni di
    Guardia Sanframondi, San Lorenzo Maggiore, San Lupo e Castelvenere in provincia di Benevento,
    così come già delimitata con decreto ministeriale 2 agosto 1993 pubblicato nella G.U. n 193 del 18
    agosto 1993.
  8. 4 delimitazione della sottozona "Taburno”
    La zona di produzione delle uve, comprende l'intero territorio amministrativo dei comuni di
    ApolIosa, Bonea, Campoli del Monte Taburno, Castelpoto, Foglianise, Montesarchio, Paupisi,
    Torrecuso e Ponte ed in parte il territorio dei comuni di Benevento, Cautano, Vitulano e Tocco
    Caudio, tutti in provincia di Benevento, così come già delimitata con DPR 29.10.1986 sostituito con
    decreto ministeriale 2 agosto 1993 pubblicato nella G.U. n 201 del 27 agosto 1993.
    Tale zona è così delimitata: partendo dal confine tra i comuni di Apollosa e Benevento e
    segnatamente al km 256 della via Appia, strada statale n. 7, la linea di delimitazione segue verso
    nord il torrente Serretelle fino ad incrociare il fiume Calore. Segue questo confine per due
    chilometri circa fino ad incontrare la linea ferroviaria Benevento - Caserta, seguendola verso est
    fino ad incrociare la s.s. n. 88 dei due Principati, che percorre fino al confine del comune di
    Torrecuso a quota 248. Segue questo confine deviando ancora ad est al km 80 della stessa strada
    statale n. 88 e prosegue sempre lungo il confine comunale verso ovest, quasi sempre sulla direttrice,
    fino ad incontrare il confine del comune di Ponte. Segue detto confine comunale di Paupisi fino ad
    incontrare quello di Torrecuso a quota 720. Segue per un breve tratto il confine comunale di
    Torrecuso fino ad arrivare alla località Monte S. Michele nel comune di Foglianise. Lungo lo stesso
    confine si arriva, poi, al torrente S. Menna, risalendo lo stesso fino alla località Madonna degli
    Angeli a quota 582, per un tratto di tre chilometri confinante con il comune di Vitulano. In località
    3
    S. Giuseppe la delimitazione prosegue lungo la strada che collega casale Fuschi di Sotto, casale
    Resi e casale Tammari, svoltando verso sud all'altezza di Fontana Reale e segue il torrente del
    Palillo fino ad incrociare il confine del comune di Cautano. Scendendo ancora verso sud la linea di
    delimitazione attraversa la strada provinciale Vitulanese 1° tronco, a quota 291, si immette nel
    torrente Ienca e, proseguendo ancora, arriva ad incrociare la strada comunale Luciarco a quota 282.
    Segue detta strada per un tratto di circa 10 chilometri fino ad incrociare il confine del comune di
    Campoli del Monte Taburno all'altezza della strada provinciale Vitulanese a quota 423. Arrivati a
    questo punto la linea di delimitazione prosegue lungo i confini di Campoli del Monte Taburno fino
    a quota 502 per immettersi poi sulla strada comunale Cesine del comune di Tocco Caudio, che
    viene percorsa per un tratto fino ad incrociare la strada provinciale Friuni, dello stesso comune.
    Seguendo la strada provinciale Friuni, si scende verso sud fino ad immettersi nel torrente
    Castagnola e, proseguendo, si arriva ad incrociare la strada comunale Casino-Friuni a quota 559. Da
    questo punto si scende e, percorrendo sempre il confine comunale di Campoli del Monte Taburno si
    arriva ad incrociare il confine comunale di Montesarchio in prossimità della località Sperata.
    Seguendo il confine comunale di Montesarchio si incrocia quello di Bonea in località Sorgente
    Rivullo. Da questo punto, la linea di delimitazione segue il confine comunale di Bonea fino ad
    incrociare di nuovo quello di Montesarchio alla quota 269 nei pressi della s.s. n. 7. Segue il confine
    comunale di Montesarchio fino ad incontrare in località Tufara Valle, quello di Apollosa che segue
    fino ad incrociare il punto di partenza.
    A tale delimitazione devesi aggiungere una piccola area distaccata della stessa,
    appartenente al comune di Tocco Caudio e così delimitata:
    partendo dal cimitero di Tocco Caudio e procedendo verso nord si giunge alla contrada
    Sala e seguendo il confine verso est, che delimita i comuni di Cautano e Tocco Caudio, si
    arriva alla strada comunale Maione, percorrendola fino al torrente Tassi. Detto torrente
    viene percorso fino alla Chiesa S. Cosimo a quota 752 dove la delimitazione prosegue
    verso ovest fino ad incrociare il torrente Ienca percorrendolo fino al cimitero, punto da cui si
    era partiti.
    3.5 delimitazione della sottozona " Sant’Agata dei
    Goti”
    La zona di produzione delle uve, comprende l'intero territorio amministrativo del comune di
    Sant'Agata dei Goti, in provincia di Benevento, così come già delimitata con decreto
    ministeriale 3 agosto 1993 pubblicato nella G.U. n 196 del 21 agosto 1993.
    Articolo 4
    Norme per la
    viticoltura
    4.1) Condizioni naturali
    dell’ambiente
    Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini di cui al
    precedente art. 2 con indicazione o senza indicazione della sottozona, devono essere quelle
    tradizionali della zona di produzione e comunque atte a conferire alle uve, ai mosti ed ai
    vini derivati le specifiche caratteristiche di qualità.
    Sono pertanto da considerarsi idonei, ai fini dell’iscrizione allo schedario viticolo, i
    vigneti di giacitura ed esposizione adatte, mentre sono esclusi quelli impiantati su terreni di
    fondovalle umidi, quelli non adeguatamente drenati e quelli non sufficientemente soleggiati.
    È vietata ogni pratica di forzatura; è tuttavia ammessa irrigazione di
    soccorso. 4.2) Densità di impianto
    La forma di allevamento ammessa è quella a controspalliera e la densità minima di viti per
    ettaro non dovrà essere inferiore a 2.500 piante.
    4
    Per i vigneti esistenti prima del decreto ministeriale 5 agosto 1997 di riconoscimento della
    Denominazione di Origine Controllata dei Vini Sannio, sono consentiti sesti di impianto,
    forme di allevamento a spalliera, controspalliera, raggiera e pergola e sistemi di potatura corti,
    lunghi e misti generalmente usati e comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve,
    dei mosti e dei vini derivati.
    4.3) Resa uva per
    ettaro
    La resa massima di uva per ettaro di vigneto, in coltura specializzata, ammessa per le uve
    destinate alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata « Falanghina del
    Sannio » devono rispettare i sotto elencati limiti :
    PRODUZIONE
    MAX DI UVA t/HA sottozona
    sottozona sottozona sottozona
    «FALANG GUARDIA
    HINA SANFRAMO SANT'AG
    DEL SOLOPAC NDI O ATA
    SANNIO» A GUARDIOLO TABURNO DEI GOTI
    12 12
    «Falanghina del Sannio» 12 12 11
    «Falanghina del Sannio»
    vendemmia tardiva 9 8 8 8 8
    «Falanghina del Sannio»
    passito 12 12 12 12 11
    «Falanghina del Sannio» 12
    spumante 12 12 12 12
    «Falanghina del Sannio»
    12
    spumante di qualità 12 12 12 12
    «Falanghina del Sannio»
    spumante di qualità metodo 12
    12 12 12 12
    classico
    Fermo restando i limiti massimi sopraindicati, la resa per ettaro in coltura promiscua dovrà
    essere calcolata, rispetto a quella specializzata, in rapporto alla effettiva superficie coperta dalla
    vite.
    Nelle annate favorevoli i quantitativi di uve ottenuti e da destinare alla produzione dei
    vini a denominazione di origine controllata « Falanghina del Sannio» con o senza la
    specificazione delle sottozone devono essere riportati nei limiti di cui sopra, fermi restando i
    limiti resa uva-vino per i quantitativi di cui trattasi, purché la produzione globale non superi
    del 20% i limiti medesimi.
    Il superamento del limite del 20% comporta la decadenza del diritto alla denominazione
    controllata per tutto il prodotto.
    In caso di annata sfavorevole, che lo renda necessario, la Regione Campania, su
    proposta del Consorzio di tutela, fissa una resa inferiore a quella prevista al presente
    disciplinare anche differenziata nell’ambito della zona di produzione di cui all’art. 3.
    Nell’ambito della resa massima fissata nel presente articolo, La Regione Campania, su
    proposta del Consorzio di tutela sentite le Organizzazioni di categoria, può fissare i limiti
    massimi di uva rivendicabili per ettaro inferiori a quelli previsti dal presente disciplinare
    5
    di produzione in rapporto alla necessità di conseguire un migliore equilibrio di mercato
    dandone immediata comunicazione all’organismo di controllo.
    In questo caso non si applicano le disposizioni dei cui al comma
    precedente.
    4.4) Titoli alcolometrici volumici naturali
    minimi
    Le uve destinate alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata
    «Falanghina del Sannio» devono assicurare i sotto indicati titoli alcolometrici volumici naturali
    minimi:
    TITOLO ALCOL. VOLUM.
    MIN. NAT. % VOL sottozona
    sottozona sottozona sottozona
    «FALANG GUARDIA
    HINA SANFRAMO SANT'AGA
    DEL SOLOPAC NDI O TABURN TA
    SANNIO» A GUARDIOLO O DEI GOTI
    «Falanghina del Sannio» 10,5 11 11 11 11
    «Falanghina del Sannio»
    12,5 13 13 13 13
    vendemmia tardiva
    «Falanghina del Sannio»
    16 16,5 16,5 16,5 16,5
    passito
    «Falanghina del Sannio»
    9,5 10 10 10 10
    spumante
    «Falanghina del Sannio»
    9,5 10 10 10 10
    spumante di qualità
    «Falanghina del Sannio» 9,5 10 10 10 10
    spumante di qualità metodo
    classico
    Articolo 5
    Norme per la vinificazione
    5.1) Zona di
    vinificazione
    Le operazioni di vinificazione, di elaborazione, di spumantizzazione, di invecchiamento e di
    imbottigliamento dei vini a denominazione di origine controllata «Falanghina del Sannio»
    devono essere effettuate all’interno del territorio della provincia di Benevento.
    Le operazioni di vinificazione, di elaborazione, di spumantizzazione, di invecchiamento e di
    imbottigliamento dei vini a denominazione di origine controllata «Falanghina del Sannio» con
    la specificazione delle sottozone Solopaca, Guardia Sanframondi o Guardiolo, Taburno,
    Sant’Agata dei Goti, devono essere effettuate per ciascuna sottozona all’interno del territorio
    amministrativo dei comuni compresi, anche se solo in parte, nella zona di produzione
    delimitata per ciascuna sottozona.
    È in facoltà del Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e Forestali sentito il parere
    della Regione Campania, consentire che le predette operazioni possano avvenire, con
    esclusione delle sottozone, anche in stabilimenti situati nel territorio della Regione Campania,
    a condizione che le ditte interessate ne facciano richiesta entro 12 mesi dall’approvazione del
    presente disciplinare e dimostrino di aver effettuato tali operazioni prima dell’entrata in vigore
    6
    del presente disciplinare. Le deroghe sopra previste sono concesse, con esclusione delle
    sottozone, dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali sentita la Regione
    Campania e comunicate all'Ispettorato Centrale per il controllo della qualità dei prodotti
    agroalimentari (ICQ) e all’organismo di controllo.
    Restano valide le autorizzazioni ad oggi rilasciate ai sensi del Decreto Ministero Politiche
    Agricole del 05 Agosto 1997 e successive modifiche, con il quale è stata riconosciuta la
    denominazione di
    origine controllata dei vini “Sannio” ed è stato approvato il relativo disciplinare di produzione,
    per
    la vinificazione anche ai fini dell’imbottigliamento in stabilimenti situati nel territorio della
    Regione Campania, con esclusione delle sottozone, a condizione che i produttori interessati
    dimostrino al competente organismo di controllo di avere detti requisiti necessari.
    Conformemente all’articolo 8 del Reg. CE n. 607/2009, l’imbottigliamento o il
    condizionamento deve aver luogo nella predetta zona geografica delimitata per salvaguardare
    la qualità o la reputazione o garantire l’origine o assicurare l’efficacia dei controlli.
    “Conformemente all’articolo 8 del Reg. CE n. 607/2009, a salvaguardia dei diritti precostituiti
    dei soggetti che tradizionalmente hanno effettuato l’imbottigliamento al di fuori dell’area di
    produzione delimitata, sono previste autorizzazioni individuali alle condizioni di cui all’articolo
    10, comma 3 e 4 del decreto legislativo n. 61/2010 (Allegato 1).
    5.2) Arricchime
    nti.
    L'aumento del titolo alcolometrico e le eventuali pratiche correttive sono consentiti ai sensi
    delle norme vigenti.
    5.3) Elaborazi
    one
    a) I vini a denominazione di origine controllata «Falanghina del Sannio» passito, associati o
    meno al riferimento ad una delle sottozone di cui all’art. 1, devono essere ottenuti da uve,
    prodotte ed elaborate nel rispetto delle norme vigenti per tale tipologia, sottoposte in tutto o
    in parte, sulle piante o dopo la raccolta, ad un appassimento tale da assicurare un titolo
    alcolometrico volumico naturale minimo di 16% vol. E' vietata ogni aggiunta di mosti
    concentrati o mosti concentrati rettificati. Il vino non deve essere immesso al consumo prima
    del 1 giugno dell'anno successivo la vendemmia.
    b) I vini a denominazione di origine controllata «Falanghina del Sannio» categoria spumante
    e spumante di qualità, associati o meno al riferimento ad una delle sottozone di cui all’art. 1,
    devono essere ottenuti da uve prodotte e elaborate secondo la specifica vigente normativa.
    c) I vini a denominazione di origine controllata «Falanghina del Sannio», categoria spumante di
    qualità metodo classico, associati o meno al riferimento ad una delle sottozone di cui all’art. 1,
    devono essere ottenuti attraverso la tradizionale rifermentazione in bottiglia e deve permanere sui
    lieviti di fermentazione per almeno 12 mesi a decorrere dal 15 novembre dell’anno di produzione
    delle uve.
    5.4) Resa uva/vino
    La resa massima dell’uva in vino finito non deve essere superiore al 70%.
    Qualora superi questo limite, ma non il 75%, l’eccedenza non ha diritto alla denominazione di
    origine controllata.
    Oltre il 75% decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutto il prodotto.
    La resa massima dell’uva in vino passito non deve essere superiore al 40%.
    La resa massima dell’uva in vino per la tipologia vendemmia tardiva non deve essere superiore al
    65%.
    7
    Articolo 6
    Caratteristiche al consumo
    I vini a denominazione di origine controllata «Falanghina del Sannio» di cui all’art.1 del presente
    disciplinare devono rispondere rispettivamente, all’atto dell’immissione al consumo, alle seguenti
    caratteristiche:
    «Falanghina del Sannio»
    colore: giallo paglierino;
    odore: fine, floreale, fruttato;
    sapore: secco, fresco, equilibrato;
    titolo alcolometrico volumico totale min.: 11,00% vol; per le sottozone 11,50% vol;
    acidità totale minima: 5,0 g/l;
    estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l.
    «Falanghina del Sannio» spumante
    spuma: fine e persistente;
    colore: giallo paglierino più o meno intenso, con eventuali riflessi verdolini o dorati;
    odore: fine, floreale, fruttato, fragrante;
    sapore: fine, fresco e armonico, nelle tipologie extra brut, brut ed extra dry;
    titolo alcolometrico volumico totale min.: 11,50% vol; 12,00% vol per le sottozone;
    acidità totale minima: 5,0 g/l;
    estratto non riduttore minimo: 16,0 g/l.
    «Falanghina del Sannio» spumante di qualità
    spuma: fine e persistente;
    colore: giallo paglierino più o meno intenso, con eventuali riflessi verdolini o dorati;
    odore: fine, floreale, fruttato, fragrante;
    sapore: fine, fresco e armonico, nelle tipologie extra brut, brut ed extra dry;
    titolo alcolometrico volumico totale min.: 11,50% vol; 12,00% vol per le sottozone;
    acidità totale minima: 5,0 g/l;
    estratto non riduttore minimo: 16,0 g/l.
    «Falanghina del Sannio» spumante di qualità metodo classico
    spuma: fine e persistente;
    colore: giallo paglierino più o meno intenso, con eventuali riflessi dorati;
    odore: fine, floreale, fruttato, fragrante;
    sapore: fine, fresco e armonico, nelle tipologie extra brut e brut;
    titolo alcolometrico volumico totale min.: 11,50% vol; 12,00% vol per le sottozone;
    acidità totale minima: 5,0 g/l;
    estratto non riduttore minimo: 18,0 g/l.
    «Falanghina del Sannio» vendemmia tardiva
    colore: giallo paglierino più o meno intenso tendente al dorato;
    odore: floreale, fruttato, composito;
    sapore: secco, pieno, equilibrato;
    titolo alcolometrico volumico totale min.: 13,00% vol; 13,50% vol per le sottozone;
    acidità totale minima: 4,5 g/l;
    estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l.
    8
    «Falanghina del Sannio» passito
    colore: giallo dorato più o meno intenso tendente all’ambrato;
    odore: intenso, ampio e composito, caratteristico del vitigno di provenienza;
    sapore: amabile o dolce, pieno, armonico, caratteristico del vitigno di provenienza;
    titolo alcolometrico volumico totale minimo: 16,00% vol; 16,50% vol per le sottozone
    acidità totale minima: 4,5 g/l;
    estratto non riduttore minimo: 22,0 g/l.
    In relazione alla eventuale conservazione in recipienti di legno il sapore dei vini può rilevare lieve
    sentore di legno.
    È in facoltà del Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali modificare con proprio
    decreto i limiti minimi sopra indicati per acidità totale ed estratto non riduttore minimo.
    Articolo 7
    Designazione e presentazione
    7.1) Nella designazione e presentazione dei vini a denominazione di origine controllata
    «Falanghina del Sannio» di cui all’art. 1 è vietato l’uso di qualificazioni diverse da quelle previste
    dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi extra, fine, riserva, scelto, vecchio, selezionato e
    similari.
    É consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi privati non
    aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno il consumatore.
    Le indicazioni tendenti a specificare l'attività agricola dell'imbottigliatore quali «viticoltore»,
    «fattoria », «tenuta», «podere», «cascina» ed altri termini similari sono consentite in osservanza
    delle disposizioni UE e nazionali in materia.
    7.2) Caratteri e posizione in etichetta
    Nella designazione e presentazione dei vini a denominazione di origine controllata «Falanghina del
    Sannio», la specificazione del nome della sottozona può figurare in etichetta anche al di sopra della
    denominazione «Falanghina del Sannio», in caratteri diversi e dimensioni superiori a quelli
    utilizzati per indicare la denominazione di origine.
    7.3) Annata
    Sulle bottiglie contenenti i vini a denominazione di origine controllata «Falanghina del Sannio»
    deve sempre figurare l’indicazione dell’annata di produzione delle uve, ad eccezione delle tipologie
    spumante.
    7.4) Vigna
    La menzione in etichetta del termine «vigna» seguita dal corrispondente toponimo è consentita in
    conformità alle norme vigenti.
    Articolo 8
    Confezionamento
    8.1) Recipienti e dispositivi di chiusura
    Le bottiglie in cui vengono confezionati i vini a denominazione di origine controllata «Falanghina
    del Sannio» di cui all’art. 1, per la commercializzazione devono essere di forma tradizionale, di
    vetro con dispositivi di chiusura ammessi dalla vigente normativa in materia.
    Il tappo a vite è ammesso esclusivamente per le bottiglie di contenuto inferiore e/o uguale a 1,5
    litri. È altresì consentita la tradizionale commercializzazione diretta al consumatore finale del vino a
    denominazione di origine controllata «Falanghina del Sannio» condizionato in recipienti fino a 60
    litri.
    8.2) Volumi Nominali
    Le bottiglie di vetro in cui vengono confezionati i vini a denominazione di origine controllata
    «Falanghina del Sannio» di cui all’art. 1, per la commercializzazione devono essere di capacità
    9
    consentita dalle vigenti leggi.
    Inoltre, a scopo promozionale, è consentito l’utilizzo delle capacità da litri 6, 9, 12, 15.
    Articolo 9
    Legame con la zona geografica
    A) Legame con la zona geografica
  1. Fattori naturali rilevanti per il legame con la zona geografica
    La zona geografica delimitata comprende l’intero territorio amministrativo della Provincia di
    Benevento.
    Il territorio interessato, dal punto di vista litologico e della geomorfologia, appare come una unità
    ben individuata.
    Il territorio interessato, dal punto di vista litologico e della geomorfologia, appare come una unità
    ben individuata.
    La morfologia superficiale è caratterizzata da rilievi sempre intervallati da depressioni carsiche a
    fondo pianeggiante, e da incisioni che testimoniano la violenza di antiche fasi erosive quaternarie in
    conseguenza di eventi localizzati ed intensi.
    Dal punto di vista litologico le formazioni sulle quali si sviluppano i suoli sono sedimenti
    cartonatici mesozoico-terziari, o sedimenti terrigeni terziari, sedimenti clastici e piroclastici
    quaternari.
    I sedimenti cartonatici sono dolomie, calari dolomitici e calcari.
    I sedimenti terrigeni sono costituiti da arenarie e da argille varicolori scagliose e si rinvengono
    affioranti su entrambi i versanti orientale e occidentale del Massico. Le coltri argillose sono
    costituite da argille rossomattone, verdi e grigie. Costituiscono i materiali di maggior interesse
    per il loro contributo alla pedogenesi, in concorso con i sedimenti clastici e piroclastici quaternari
    che ammantano quasi tutti i rilievi, colmano le depressioni e sono intimamente misti al substrato
    pedogenetico.
    I suoli dell’area sono i tipici Regosuoli. Il substrato predominate è costituito da rocce tenere
    arenarie, argilli, calcareniti.
    L’orizzonte superficiale lavorato presenta struttura generalmente grumosa e, meno comunemente,
    poliedrica, da moderata a friabile, e, in profondità tende a divenire poliedrica, più resistente, con
    facce di pressione. E’ generalmente poco profondo, talvolta esile. Immediatamente sottostante è
    spesso presente un orizzonte a drenaggio lento, che costituisce la principale limitazione d’uso
    riscontrabile nel comprensorio; limitazione che può essere agevolmente superata mediante
    l’impiego di adeguata meccanizzazione e con appropriate pratiche agronomiche, considerato che i
    materiali di substrato sono generalmente teneri.
    Per quanto riguarda la granulometria prevalgono i costituenti di dimensioni sottili (inferire a 0,02
    mm) e di conseguenza risultano generalmente elevati i valori dei contenuti d’acqua a diversi punti a
    potenziale caratteristico. La capacità per l’acqua è generalmente elevata e, come per le altre
    caratteristiche fisiche, può essere favorevolmente esaltata con la razionalizzazione delle pratiche
    agronomiche e della forma di utilizzazione del suolo.
    I suoli sono prevalentemente saturi. Il carbonato di calcio è un costituente normalmente presente,
    anche in forma finemente diffusa o in forma di noduli di precipitazione. I terreni non risultano
    particolarmente ricchi di composti azotati ed organici, che possono esser agevolmente integrati con
    le normali pratiche di fertilizzazione. Nel caso dei materiali argillosi si tratta di un substrato dotato
    di capacità di scambio favorevole ad assicurare la adeguata disponibilità di nutritivi
    all’esplorazione radicale delle coltura arboree.
    Dall’esame complessivo dei caratteri generali del territorio, dei caratteri costituzionali dei suoli
    dominanti e dall’esame dei dati analitici, emerge che l’area risulta fortemente vocata alla
    coltivazione della vite, specie se supportata da idonee pratiche colturali relative alle lavorazioni del
    terreno.
    10
    La zona, infine, è nel suo insieme collinare, con altimetria compresa tra i 200 e i 650 m slm.
    Il clima rappresenta uno dei più importanti fattori di formazione del suolo e di regolazione di tutti
    gli eventi chimici e biochimici che in esso hanno sede, la sua evoluzione e degradazione, lo
    sviluppo e moltiplicazione dei microrganismi, la abitabilità per le colture, lo sviluppo e
    accrescimento delle essenze erbacee ed arboree.
    La zona si caratterizza per fondovalle riparati e ben esposti, a temperatura mite e piovosità intorno
    ai 1000 mm annui; alle quote più elevate, invece, gli inverni sono più freddi, le estati
    moderatamente calde, con una piovosità che può giungere i 1400 mm annui.
    Si rilevano periodi di aridità da un massimo di 2 mesi (metà giugno, metà agosto) nelle zone ad
    altitudine più limitata, fino a divenire minimi nelle aree a quota più elevata.
    La distribuzione delle piogge segue l’andamento tipico delle aree interne, con massimi di piovosità
    in autunno e talvolta un secondo massimo in primavera.
    Con questi andamenti le zone a quote inferiori non sono soggette a lisciviazione delle basi e il
    regime idro-meteorico non comporta asportazione di nutritivi. Nelle aree a quota maggiore la
    lisciviazione è limitata e risulta moderata dalla natura del substrato nel quale è generalmente
    presente il calcio che è fattore di stabilizzazione.
    Nel complesso l’intera zona presenta caratteristiche climatiche particolarmente favorevoli alla
    coltivazione della vite e ben armonizzate con le esigenze della coltura in corrispondenza delle
    diverse fasi fenologiche.
    La zona nel suo insieme è caratterizzata, infine, da una buona mobilità degli strati inferiori
    dell’atmosfera. Ciò comporta un sufficiente arieggiamento delle colture che costituisce un fattore
    favorevole all’attività vegetativa e alla sanità delle produzioni.
    La viticoltura sannita, che si era caratterizzata nel passato come una viticoltura orientata
    essenzialmente, sia nella scelta dei vitigni che nella impostazione dei vigneti, verso la quantità, oggi
    appare profondamente modificata, tanto che l’area può essere considerata in Campania come quella
    dove il processo di ammodernamento dei vigneti è stato più intenso e radicale. La scelta dei sesti,
    delle forme di allevamento e dei sistemi di potatura, delle tecniche di coltivazione da adottare nei
    nuovi impianti è stata rigorosamente orientata verso criteri qualitativi.
    E’ così avvenuto che la raggiera, forma di allevamento adottata nella quasi totalità dei vigneti, con
    sesti ampi e elevato cariche di gemme per ceppo e per ettaro (100 – 150mila ad ettaro e 28 gemme a
    ceppo distribuite in 4 “archetti”), capace di indurre produzioni unitarie molto abbondanti, è stata in
    gran parte sostituita da forme d'allevamento a ridotto sviluppo per un maggior controllo della
    produttività.
    I nuovi impianti e i reimpianti sono stati realizzati in gran parte a spalliera, con prevalenza del
    guyot, del cordone speronato e della cortina pendente; la distanza tra le viti è stata fortemente
    ridotta, scendendo sulla fila al di sotto del metro, con conseguente aumento della densità di
    impianto, fino a 6000 ceppi per ettaro, e una forte riduzione del numero di gemme per ceppo.
    Il rinnovo degli impianti è stato accompagnato da un ammodernamento e adeguamento delle
    tecniche di coltivazione, finalizzate al costante controllo della vigoria delle viti mediante una scelta
    ragionata, non solo del sesto e del portinnesto, ma anche della gestione del suolo e delle
    concimazioni, che tendono a mantenere le piante in equilibrio e in situazione di nutrizione ottimale,
    basandosi sulle indicazioni fornite dalla diagnostica fogliare e dalle analisi fisico-chimiche del
    terreno e sul comportamento vegeto-produttivo delle piante.
    La difesa fitosanitaria si ispira ai principi fissati dalla lotta guidata, sulla base delle indicazioni
    formulate dall’Amministrazione Regionale nell’ambito dei Piani di difesa.
    Nel complesso la razionalizzazione del processo produttivo e le specializzazione colturale consente
    da una parte il contenimento dei costi di produzione dall’altra un miglioramento qualitativo delle
    produzioni.
    Negli anni ’70 la provincia di Benevento è quella che ha visto più radicalmente delle altre province
    campane modificare l’originaria base ampelografica. Il Trebbiano toscano, le varie Malvasie, in
    particolare quella di Candia, il Sangiovese sono stati i vitigni prescelti nella realizzazione degli
    11
    impianti, ma consistente è stata anche l'introduzione del Montepulciano, del Merlot, del Lambrusco.
    Successivamente si è assistito ad una rapida e convinta inversione di tendenza, voluta dai produttori,
    dalle categorie e favorita dall'Amministrazione regionale sia mediante una profonda revisione della
    piattaforma enografica provinciale, sia mediante l'attivazione di opportuni interventi di sostegno.
    Il filo conduttore è rappresentato dalla valorizzazione dei vitigni autoctoni di pregio, in particolare
    la Falanghina, la Coda di volpe, il Greco, l'Aglianico e il Piedirosso, che sono stati largamente
    utilizzati nel rinnovo degli impianti viticoli, divenendo oggi largamente prevalenti nella zona a
    denominazione. In considerazione dei successi commerciali dei vini prodotti l’interesse dei
    viticoltori si è in particolare concentrata sull’Aglianico che oggi rappresenta oltre il 50 % della
    superficie vitata iscritta all’Albo. Nel caso dell’Aglianico viene data preferenza a cloni di Aglianico
    selezionati in zona e certificati dal Ministero, che offrono maggiori garanzie sulle caratteristiche
    genetiche e sanitarie e sull'omogeneità del materiale impiegato.
    Particolare attenzione viene posta anche alla scelta del portinnesto che viene fatta in primo luogo
    adottando genotipi che oltre a dimostrare una ottima resistenza alla fillossera e un buon adattamento
    alle condizioni pedologiche della zona sono idonei ad esercitare il controllo della vigoria e dello
    sviluppo della pianta, in armonia con il sistema di allevamento adotto.
    Il profondo ammodernamento della viticoltura della zona, con la realizzazione di vigneti
    specializzati, a sesti fitti e forme di allevamento a spalliera, trova riscontro nelle produzioni
    conseguite dai vigneti iscritti alla DOC.
    Molti vigneti sono stati reimpiantati seguendo le indicazioni delle istituzioni regionali, in
    prevalenza adottando forme di allevamento che rispettano criteri minimi imposti dall’OCM.
    Nello specifico le aziende del territorio hanno adottato ulteriori criteri restrittivi, rifacendosi ad una
    viticoltura moderna. Sesti di impianto che vanno da condizioni massimo di circa mt 2,50 tra i filari
    e minimo 2 mt, con distanze sul filare tra le viti da circa mt 0,80 a mt 1,60.
    La densità di viti per ettaro si attesta nei nuovi impianti da minimo 2500 piante a casi particolari
    fino a 7000/8000 piante per Ha.
    Il carico delle gemme per ogni vite va da un minimo di circa 8/10 gemme a non più di 15/20 gemme
    a frutto. La produzione mediamente va da un massimo di circa 5 kg per ceppo a produzioni
    altamente qualitative che prevedono una produzione per ceppo di kg 1,5. Tali limiti sono assicurati
    dal diradamento, che ormai è divenuto una pratica largamente utilizzata dai viticoltori della zona, a
    testimonianza della conversione, ormai compiuta, dai produttori alla viticoltura di qualità e, quindi,
    ai vini di pregio.
    L’irrigazione solitamente non è una pratica usata nella provincia di Benevento. Può essere adottata
    solo in casi di soccorso in annate sfavorevoli.
    Non a caso dalla consultazione dell’Albo e delle rese per ettaro si evince che la resa in vigneto, pur
    raggiungendo livelli importanti, è sensibilmente inferiore ai limiti fissati dal Disciplinare.
    I vigneti coltivati nella provincia di Benevento, in funzione delle varietà ed epoche di maturazione,
    hanno una altitudine media che va dai 50 metri s.l.m. fino ad altezze massime di circa 500 metri
    s.l.m.
  2. Fattori umani rilevanti per il legame con la zona geografica
    Di fondamentale importanza nella produzione del vino Falanghina del Sannio DOP sono i fattori
    umani legati al territorio di produzione.
    In base ai ritrovamenti effettuati ed a studi realizzati si può affermare che la coltivazione della vite
    nella provincia di Benevento ha origini antiche risalenti al II secolo a.C.
    Nel paese di Dugenta fu ritrovato un imponente deposito, con relativo forno di produzione, di
    anfore utilizzate per la conservazione ed il commercio del vino. Gli studiosi hanno convenuto che
    sicuramente questa era una fabbrica di anfore costruita in una area particolarmente idonea alla
    produzione e allo smercio del vino, situata lungo la riva sinistra del fiume Volturno del quale è
    affluente il fiume Calore che attraversa l’intera provincia di Benevento.
    Le anfore ritrovate in provincia di Benevento, venivano prodotte solo in due luoghi, a Dugenta e ad
    Anzio e venivano utilizzate in un area compresa tra l’Etruria meridionale, Lazio, Campania e
    12
    Sannio.
    Sicuramente il paese di Dugenta rivestiva un ruolo importante nella commercializzazione dei vini in
    epoca romana, in quanto la produzione di vino soddisfaceva abbondantemente la richiesta locale e
    quindi il vino veniva venduto anche al di fuori dei confini regionali, questo è testimoniato dal fatto
    che anfore realizzate a Dugenta sono state ritrovate in Inghilterra del sud e Africa del nord.
    Gran parte del vino prodotto nella provincia di Benevento e quello proveniente anche da altre parti
    d’Italia veniva venduto al mercato vinicolo di Pompei secondo solo a quello di Roma.
    In base agli studi effettuati da Attilio Scienza, una forte classe di produttori di vino di origine
    sannita sarebbe stata presente nella composizione etnica di Pompei, a conferma che la cultura del
    vino nel Sannio è stata contemporanea se non precedente, all’epoca romana.
    Il Sannio per molti secoli ha rappresentato il collegamento naturale tra la Puglia e la Campania.
    Attraverso i sentieri della transumanza i Sanniti hanno conosciuto il mondo del vino Abruzzese e
    Pugliese attraverso i quali hanno portato nel Sannio i vitigni greci dell’Epiro.
    Attilio Scienza afferma che del vino sannita troviamo citazioni di Platone comico, commediografo
    ateniese della seconda metà del V secolo a.C., che parlava dell’eccellente vino di Benevento dal
    lieve aroma fumé ; inoltre secondo Scienza del vino sannita ne parla anche Plinio nella Naturalis
    Historia, il quale sosteneva che il vino Kapnios avesse nel Sannio una delle sue patrie d’elezione. Il
    sapore fumé del vino Kapnios potrebbe non solo essere derivato da una tecnica di appassimento
    delle uve o dall’affumicamento di queste, ma addirittura dalle caratteristiche stesse dell’uva.
    Un’altra importante testimonianza che i Sanniti si dedicassero alla coltivazione della vite e alla
    produzione del vino, è che quando sul finire del V secolo a.C. famiglie di stirpe sannita si
    stabilirono nella Valle del Volturno, si è avuto uno sviluppo economico di queste area grazie alla
    produzione del Trebula balliensis, così come riferito da Plino il vecchio nella sua Naturalis Historia.
    Nel beneventano come nel resto della Campania la viticultura conobbe una crisi dovuta al
    cambiamento del gusto del mercato romano che scoprì i vini più leggeri e profumati dell’Italia
    settentrionale e della Gallia. Il primo vino Gallico arrivò a Roma nel 79 d.C.
    Un inversione di tendenza la si ebbe solo intorno al 500 d.C. grazie ai Longobardi, che non solo
    importarono vitigni di origine pannonica, ma protessero le vigne dall’espianto addirittura con la
    pena di morte.
    Anche Carlo Magno si occupò attraverso il Capitulare de Villis della cura della vite, ma fu grazie
    alla chiesa che intorno all’anno 1000 si ebbe il definitivo rilancio della coltivazione della vite che
    coinvolse anche il territorio sannita. Fu proprio un sacerdote, il vescovo di Benevento Landulfo, a
    pretendere che vicino ad ogni monastero fossero impiantati dei vigneti, favorendo il rilancio della
    viticultura soprattutto nella zona di Solopaca come dimostra la presenza di venditori di vino in
    documenti del 1100.
    In questo periodo, e fino al 1400, molti vini beneventani grazie alla possibilità di sfruttare i fiumi
    navigabili che attraversavano la provincia, arrivavano ai porti di Gaeta e di Napoli i più grandi porti
    di smistamento dei vini per l’intero Mediterraneo e per i mari del Nord.
    A Napoli in quegli anni venivano trasportati ingenti quantità di vino dall’entroterra Beneventano ed
    Avellinese, ed assieme ai vini fermi venivano trasportati anche vini dolci molto richiesti dal
    mercato europeo in quel periodo.
    La classe mercantile beneventana in quegli anni diventò la più forte della regione Campania, in
    quanto poteva godere degli enormi benefici derivanti dal fatto che i territori della provincia di
    Benevento erano sotto il governo dello Stato della Chiesa.
    Per una prima descrizione su base scientifica della viticoltura beneventana dobbiamo attendere la
    Statistica murattiana del 1811, il primo e vero studio del territorio sannita che ha permesso di
    conoscere le produzioni della provincia di Benevento e di ricostruire le condizioni economiche-
    sociali e gli stili di vita della popolazione sannita.
    Da questo studio si evince che che la provincia di Benevento produceva vini che soddisfacevano le
    diverse richieste del mercato infatti il vino di Cerreto Sannita veniva considerato molto pregiato
    assieme a quello di Solopaca, Frasso Telesino, Melizzano e venivano venduti sul mercato regionale
    13
    ed extra-regionale; quelli di Sant’Agata dei Goti venivano venduti solo sul mercato provinciale,
    mentre a Guardia Sanframondi si produceva un vino dolce e liquoroso simile a quello di Malaga.
    Da Cerreto Sannita e Guardia Sanframondi partiva nel 1811 il più alto numero di barili di vino per
    la capitale, 79.229, contro i 31.281 di Airola, i 12.557 di Solopaca e i 10.470 di Sant’Agata dei
    Goti.
    Per quanto riguarda il numero di vigne Cerreto Sannita e Guardia Sanframondi non superavano di
    molto Solopaca infatti nei due comuni se ne trovavano circa 3.480 ed invece nel solo comune di
    Solopaca se ne potevamo trovare circa 2.880.
    Sempre agli inizi dell’Ottecento c’è testimonianza di un ottimo vino prodotto anche nei comuni di
    Pontelandolfo, Baselice e Foiano in Val Fortore.
    Nel 1872 un grosso studioso, Giuseppe Frojo, incominciò a parlare di vitigno in senso scientifico e
    sostienne che le migliori uve della regione Campania erano il Pallagrello, oggi diffuso solo nella
    provincia di Caserta, ma lodava anche le uve Aglianico, Sciascinoso, il Piede di Colombo
    (Piedirosso), Greco e Fiano, tutti vitigni coltivati nella provincia di Benevento.
    Circa venti anni dopo Frojo, fu il Ministero dell’Agricoltura a fare un’accurata analisi delle uve
    presenti su territorio sannita.
    L’Aglianico restava il vitigno predominate, seguito dal Piedirosso, l’Aglianicone, il Gigante, il
    Mangiaguerra, la Tintiglia di Spagnala Vernacciola e il Sommarello.
    Tra i vini a bacca bianca si notano il Bombino, l’Amoroso bianco, la Passolara, il Greco, la
    Malvasia, il Moscatello e la Coda di Volpe.
    In questo periodo il vino prodotto è destinato al consumo interno, in quanto in provincia di
    Benevento stava nascendo una classe borghese più attenta e sensibile alla buona tavola, ma anche
    trasportato il nord Italia in quanto molto apprezzato e richiesto.
    Negli anni in cui Frojo compiva i suoi studi, la superficie vitata della provincia di Benevento era
    rappresentata da poco più di 15.000 ettari, estensione che pur ponendo la provincia ultima nella
    classifica regionale, la rendeva seconda sola a Napoli per rapporto fra territorio e superficie, mentre
    a partire dal 1904 e almeno fino al 1924 i terreni a vigna erano più che raddoppiati. Negli anni che
    andavano dal 1896 al 1910 il vigneto sannita si arricchì di 8.046 ettari, pari ad un incremento del
    46%.
    Dopo l’unità d’Italia nel vigneto sannita vengono coltivate anche altri tipi di vitigni nazionali ed
    internazionali come il Sangiovese, Barbera, Cabernet Sauvignon, Malbek, Sirah, Erbaluce,
    Semillon, Pinot e Riesling renano.
    Dopo le due grandi guerre mondiali, vi fu un risveglio in tutti i settori produttivi che influenzò
    anche quello agricolo, e nella provincia di Benevento si verificò che i contadini, fino ad allora solo
    conduttori dei terreni, ne acquisirono anche le proprietà. In questo periodo la produzione delle uve
    aumentò sensibilmente nella provincia di Benevento, favorendo da una parte la nascita del primo
    Enopolio nella provincia a Solopaca che vantava una capacità di 13 mila ettolitri contro i soli
    cinquemila dell’Enopolio napoletano, ma dall’altra lo sfruttamento dei grossi mediatori nei
    confronti dei piccoli produttori.
    In realtà neanche la creazione dell’Enopolio di Solopaca contribuì a migliorare la condizione dei
    piccoli produttori e quindi nacquero con il passare degli anni le quattro Cantine sociali ancora oggi
    operanti sul territorio sannita, La Guardiense, la Cantina sociale di Solopaca e La Cantina del
    Taburno e il CECAS (Centro Cooperativo Agricolo Sannita).
    Il compito fondamentale delle cantine sociali fu quello di raccogliere, trasformare e vendere, le uve
    provenienti dalle diverse zone della provincia di Benevento, in modo da sostenere i piccoli
    produttori e favorire lo sviluppo della viticoltura nel Sannio.
    Negli anni settanta ad opera di un produttore della provincia di Benevento avviene un cambiamento
    radicale nelle produzioni del territorio sannita. Il produttore Leonardo Mustilli infatti riscopre la
    Falanghina, vitigno autoctono a bacca bianca, poco conosciuto e poco coltivato.
    La Falanghina di Mustilli fece compiere il salto di qualità ai vini della provincia di Benevento, in
    quanto ebbe un apprezzamento unanime e diffuso, che i vini sanniti, seppur riconosciuti come
    14
    ottimi vini, non avevano mai riscosso.
    La Falanghina fu lavorata per la prima volta in purezza e questo tipo di lavorazione diede ottimi
    risultati. Grazie alla lavorazione della Falanghina in purezza, nel territorio sannita si sgretolò l’idea
    dei blend e si incominciarono ad elaborare vini in assoluta purezza anche con gli altri vitigni da
    sempre presenti sul territorio sannita.
    Il lavoro di Leonardo Mustilli fu importante per l’intero comparto vitivinicolo sannita che, a partire
    dagli anni Ottanta, ha intrapreso un lento ma graduale percorso verso la qualità.
    Nel rilancio della viticoltura del Sannio Beneventano ha rivestito un ruolo molto importante il
    vitigno Falanghina.
    Nel corso dei secoli, il nome “Falanghina” ha subito leggerissime variazioni che consistono
    soprattutto in sostituzioni di vocali: Falanghina o di consonanti: Falanghina. Non sono noti altri
    sinonimi che indichino il vitigno, se si fa eccezione per la definizione di Uva Falerna o Falernina
    che erroneamente il Bordignon trae dal Frojo il quale intendeva soltanto paragonare la bontà del
    vino di Falanghina a quello molto più famoso del Falerno ma non riteneva certamente identici i due
    vitigni.
    E’ opinione diffusa ma non storicamente accertata che il nome “Falanghina” derivi da “Falanga”,
    “palo di legno” al quale i ceppi di vite sarebbero stati appoggiati ed allevati verso l’alto.
    L’attribuzione di una radice etimologica colta dei nomi delle uve campane è operazione non priva
    di rischi e contraddizioni. Infatti, se si risale al termine greco jάlagx (falags) si trova che esso
    assume diversi significati: esercito schierato, cilindro di legno per spostare corpi pesanti, grosso
    legno cilindrico o bastone, ragno velenoso, articolazione delle dita e nessuno di essi può essere
    univocamente considerato l’origine del nome Falanghina.
    Un altro termine greco jalάggion (phalaggion), dalla stessa radice etimologica, foneticamente più
    simile al nome del vitigno, indica invece un tipo di erba o una specie di ragno.
    Forse nessun’altra specie coltivata, come la vite, ha dato origine ad una progenie di varietà così
    numerosa tanto da indurre già Virgilio (“…che se qualcuno vuole saperlo (il numero) vada costui
    nel deserto Libico e conti i granelli di sabbia che il vento tormenta”, Georgica II 104-6), Columella
    e Plinio a tentare in qualche modo di mettere ordine nel mare magnum dei vitigni allora conosciuti.
    L’ampelografia, come classificazione della vite, è perciò una disciplina molto antica ma, come
    strumento di identificazione e di confronto varietale, prende forma organica all’inizio dell’800 e,
    nel corso dei decenni, verrà sempre più perfezionata fino ad arrivare all’elaborazione di un “Codice
    internazionale dei caratteri descrittivi delle varietà e specie di vite” da parte dell’”Office
    International de la Vigne et du Vin” (OIV), con lo scopo di rendere “oggettive” e perciò
    confrontabili le descrizioni morfologiche dei diversi vitigni, realizzate da ampelografi diversi.
    Quanto fosse importante avere dei criteri scientifici uniformi lo si può ricavare dall’osservazione
    delle diverse descrizioni della Falanghina fatte nel corso dei decenni.
    Il grappolo, ad esempio, può essere allungato, semplice e poco ramoso o piramidale e alato, la
    forma dell’acino varia dallo sferoide all’ellissoide al decisamente ovale, la foglia va da una forma
    quasi rotonda all’allungata, dal glabro al lanuginosa, dai seni laterali appena accennati a molto
    profondi. La stessa destinazione d’uso non coincide: qualcuno la inserisce tra le uve da tavola
    (Gasparrini e Carusi) ed altri tra le uve da vino.
    La descrizione più completa e che tra l’altro coincide con il biotipo di Falanghina attualmente più
    coltivato nella provincia di Napoli è quella realizzata da Sante Bordignon nel 1965. E’ interessante
    notare che, in questo lavoro, viene citata una Falanghina Mascolina, poco diffusa già in quegli anni,
    per distinguerla da quella Verace. Un recente sopralluogo nei vigneti del lago d’Averno ha portato
    al ritrovamento di alcuni ceppi di una Falanghina piccola, per il grappolo di ridotte dimensioni, che
    potrebbe coincidere con la Mascolina citata da Bordignon, sparita dalla coltivazione proprio perché
    meno produttiva.
    Nel beneventano è diffuso un altro biotipo di Falanghina, morfologicamente e fisiologicamente
    diverso da quello presente nel napoletano (20) ed i cui caratteri in parte sono simili a quelli riportati
    da Carusi nel 1883.
    15
    L’ampelografia descrittiva più avanzata, come quella elaborata dall’OIV, non dirime tutti i dubbi
    sull’identità delle varietà di vite o su possibili casi di sinonimia od omonimia. E’ possibile infatti
    che due varietà diverse abbiano molti caratteri morfologici coincidenti o che la sensibilità del
    rilevatore ampelografico non sia sufficientemente affinata.
    Dagli inizi degli anni novanta, sono state perciò messe a punto tecniche più oggettive di
    identificazione varietale, basate su criteri analitici biochimici e non più descrittivi. Sono quindi state
    sviluppate diverse tecniche di indagine varietale: profili isoenzimatici e uso dei marcatori
    molecolari del DNA.
    Proprio associando i criteri descrittivi con le tecniche di caratterizzazione genetica delle varietà si è
    potuto stabilire con precisione che la Falanghina è una varietà originale, non coincidente con altre
    varietà di vite campane o extra regionali, perlomeno fino allo stato attuale delle ricerche
    internazionali e che i due biotipi di Falanghina, attualmente diffusi in provincia di Napoli e di
    Benevento mostrano una distanza genetica importante.
    Negli anni settanta ad opera di un produttore della provincia di Benevento avviene un cambiamento
    radicale nelle produzioni del territorio sannita. Il produttore Leonardo Mustilli infatti riscopre la
    Falanghina, vitigno autoctono a bacca bianca, poco conosciuto e poco coltivato.
    La Falanghina di Mustilli fece compiere il salto di qualità ai vini della provincia di Benevento, in
    quanto ebbe un apprezzamento unanime e diffuso, che i vini sanniti, seppur riconosciuti come
    ottimi vini, non avevano mai riscosso.
    La Falanghina fu lavorata per la prima volta in purezza e questo tipo di lavorazione diede ottimi
    risultati. Grazie alla lavorazione della Falanghina in purezza, nel territorio sannita si sgretolò l’idea
    dei blend e si incominciarono ad elaborare vini in assoluta purezza anche con gli altri vitigni da
    sempre presenti sul territorio sannita.
    Il lavoro di Leonardo Mustilli fu importante per l’intero comparto vitivinicolo sannita che, a partire
    dagli anni Ottanta, ha intrapreso un lento ma graduale percorso verso la qualità.
    Da venti anni a questa parte, Benevento è la prima provincia campana per quantità di vino prodotto
    oltre che per vigneti.
    B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente
    attribuibili alla zona geografica.
    I vini di cui al presente documento presentano, dal punto di vista analitico ed organolettico,
    caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6, che ne permettono una chiara
    individuazione e tipizzazione legata all'ambiente geografico.
    In particolare il vino Falanghina presenta caratteristiche chimico-fisiche equilibrate in tutte le
    tipologie, mentre al sapore e all'odore si riscontrano aromi prevalenti tipici del vitigno.
    C) Descrizione dell’interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla
    lettera B).
    L’orografia collinare e montuosa del territorio di produzione e l'esposizione prevalente dei vigneti.
    orientati a sud, sud-est, localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite,
    concorrono a determinare un ambiente adeguatamente ventilato, luminoso, favorevole
    all'espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta.
    Nella scelta delle aree di produzione vengono privilegiati i terreni con buona esposizione adatti ad
    una viticoltura di qualità.
    La millenaria storia vitivinicola della provincia di Benevento, che parte dal II secolo a.C., passa per
    il medioevo e giunge ai nostri giorni, attestata da numerosi documenti, è la fondamentale prova
    della stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e le qualità peculiari del
    territorio e dei vitigni dai quali si ottiene il vino “Falanghina del Sannio DOP”.
    16
    Articolo 10
    Riferimenti alla struttura di controllo
    Agroqualità S.p.A.
    Viale Cesare Pavese, 305 - 00144 ROMA
    Telefono +39 06 54228675
    Fax +39 06 54228692
    Website: www.agroqualita.it
    e-mail: agroqualita@agroqualita.it
    La Società Agroqualità è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero delle politiche agricole
    alimentari e forestali, ai sensi dell’articolo 64 della legge n. 238/2016, che effettua la verifica
    annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, conformemente all’articolo 19, par.
    1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 20 del Reg. UE n. 34/2019, per i prodotti beneficianti
    della DOP, mediante una metodologia dei controlli combinata (sistematica ed a campione) nell’arco
    dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento), conformemente al citato
    articolo 19, par. 1, 2° capoverso.
    In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli,
    approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 agosto 2018, pubblicato nella
    G.U. n. 253 del 30.10.2018.
    17