Documento
Regione
Testo
Ministero delle politiche agricole
alimentari e forestali
DIPARTIMENTO DELLE POLITICHE COMPETITIVE,
DELLA QUALITÀ AGROALIMENTARE, DELLA PESCA E DELL’IPPICA
DIREZIONE GENERALE PER LA PROMOZIONE DELLA QUALITÀ AGROALIMENTARE E DELL’IPPICA
UFFICIO PQAI IV
DISCIPLINARE DI PRODUZIONE
DELLA DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA DEI VINI
“FRIULI” O “FRIULI VENEZIA GIULIA” – “FURLANIJA” O
“FURLANIJA JULIJSKA KRAJINA
Decisione di approvazione Pubblicazione
Approvato con Reg. di esecuzione (UE) G.U.U.E. L 379 - 13/11/2020
n.2020/1680 della Commissione del 6/11/2020
Articolo 1
Denominazione e vini
- La denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» (in lingua slovena
«Furlanija» o «Furlanija Julijska krajina») è riservata ai vini che rispondono alle condizioni ed ai
requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:
Bianco;
Spumante (categoria V.S.);
Spumante Metodo Classico;
Ribolla gialla Spumante (categoria V.S.);
Ribolla gialla Spumante metodo classico;
Chardonnay;
Friulano;
Malvasia;
Pinot bianco o Pinot blanc;
Pinot grigio o Pinot gris;
Riesling;
Sauvignon o Sauvignon Blanc;
Traminer aromatico;
Verduzzo friulano;
Cabernet;
Cabernet Franc;
Cabernet Sauvignon;
Merlot;
Pinot nero o Pinot noir;
Refosco dal peduncolo rosso;
Rosso.
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Articolo 2
Base ampeolografica - I vini a denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia», devono essere
ottenuti dalle uve prodotte da vigneti aventi nell’ambito aziendale la seguente composizione
ampelografica:
Bianco:
- Chardonnay, Friulano, Malvasia istriana, Pinot bianco, Pinot grigio, Riesling, Sauvignon,
Traminer aromatico, Verduzzo friulano, Ribolla gialla, da soli o congiuntamente;
Rosso: - Cabernet franc, Cabernet Sauvignon, Carmenere, Merlot, Pinot nero, Refosco dal peduncolo rosso,
da soli o congiuntamente;
Spumante o Spumante metodo classico: - Chardonnay, Pinot bianco, Pinot grigio, Pinot nero (vinificato in bianco), da soli o
congiuntamente;
Ribolla gialla Spumante o Ribolla gialla Spumante metodo classico: - Ribolla gialla per almeno l'85%; possono concorrere per un massimo del 15% le uve, mosti e vini
provenienti dai vitigni Pinot bianco e/o Pinot grigio e/o Chardonnay e/o Pinot Nero (vinificato in
bianco);
- I vini a denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia», con la
specificazione di uno dei seguenti vitigni:
Chardonnay
Friulano;
Malvasia;
Pinot bianco o Pinot blanc;
Pinot grigio o Pinot gris;
Riesling;
Sauvignon;
Traminer aromatico;
Ribolla gialla nella tipologia spumante;
Verduzzo friulano;
Cabernet
Cabernet Franc;
Cabernet Sauvignon;
Merlot;
Pinot nero o Pinot noir;
Refosco dal peduncolo rosso,
è riservata ai vini ottenuti da uve di vigneti costituiti dai corrispondenti vitigni ed aventi una
composizione ampelografica monovarietale minima dell'85% in ambito aziendale. Possono
concorrere, fino ad un massimo del 15% le uve, mosti e vini di altri vitigni a bacca di colore
analogo, idonei alla coltivazione per le province di Trieste, Gorizia, Udine e Pordenone ad
eccezione dei Moscati, del Muller Thurgau e del Traminer. - Nella preparazione del vino Cabernet possono concorrere, disgiuntamente o congiuntamente, le
uve e i mosti dei vitigni Cabernet franc, Cabernet sauvignon e Carmenere.
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Nella preparazione del vino Riesling possono concorrere, disgiuntamente o congiuntamente, le uve i
mosti e i vini dei vitigni Riesling italico e Riesling renano.
Nella preparazione del vino Malvasia devono concorrere le uve, i mosti e i vini del vitigno
Malvasia istriana.
Articolo 3
Zona di produzione delle uve - La zona di produzione delle uve per l’ottenimento dei mosti e dei vini a denominazione di
origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» comprende l’intero territorio comunale, dei
seguenti comuni:
Per la Provincia di Pordenone:
Arba, Arzene - Valvasone, Aviano, Azzano Decimo, Brugnera, Budoia, Caneva, Casarsa della
Delizia, Castelnovo del Friuli, Cavasso Nuovo, Chions, Cordenons, Cordovado, Fanna, Fiume
Veneto, Fontanafredda, Maniago, Meduno, Montereale Valcellina, Morsano al Tagliamento,
Pasiano di Pordenone, Pinzano al Tagliamento, Polcenigo, Porcia, Pordenone, Prata di Pordenone,
Pravisdomini, Roveredo in Piano, Sacile, San Giorgio della Richinvelda, San Martino al
Tagliamento, San Quirino, San Vito al Tagliamento, Sequals, Sesto al Reghena, Spilimbergo,
Travesio, Vajont, Vivaro, Zoppola.
Per la Provincia di Gorizia:
Capriva del Friuli, Cormòns, Doberdò del Lago, Dolegna del Collio, Farra d’Isonzo, Fogliano
Redipuglia, Gorizia, Gradisca d’Isonzo, Grado, Mariano del Friuli, Medea, Monfalcone, Moraro,
Mossa, Romans d’Isonzo, Ronchi dei Legionari, Sagrado, San Canzian d’Isonzo, San Floriano del
Collio, San Lorenzo Isontino, San Pier d’Isonzo, Savogna d’Isonzo, Staranzano, Turriaco, Villesse.
Per la Provincia di Trieste:
Duino-Aurisina, Monrupino, Muggia, San Dorligo della Valle, Sgonico, Trieste.
Per la Provincia di Udine:
Aiello del Friuli, Aquileia, Artegna, Attimis, Bagnaria Arsa, Basiliano, Bertiolo, Bicinicco, Buia,
Buttrio, Camino al Tagliamento, Campoformido, Campolongo al Torre, Carlino, Cassacco,
Castions di Strada, Cervignano del Friuli, Chiopris-Viscone, Cividale del Friuli, Codroipo,
Colloredo di Monte Albano, Corno di Rosazzo, Coseano, Dignano, Faedis, Fagagna, Fiumicello,
Flaibano, Gemona del Friuli, Gonars, Latisana, Lestizza, Lignano Sabbiadoro, Magnano in Riviera,
Majano, Manzano, Marano Lagunare, Martignacco, Mereto di Tomba, Moimacco, Mortegliano,
Moruzzo, Muzzana del Turgnano, Nimis, Osoppo, Pagnacco, Palazzolo dello Stella, Palmanova,
Pasian di Prato, Pavia di Udine, Pocenia, Porpetto, Povoletto, Pozzuolo del Friuli, Pradamano,
Precenicco, Premariacco, Prepotto, Ragogna, Reana del Rojale, Remanzacco, Rive d’Arcano,
Rivignano-Teor, Ronchis, Ruda, San Daniele del Friuli, San Giorgio di Nogaro, San Giovanni al
Natisone, San Pietro al Natisone, San Vito al Torre, San Vito di Fagagna, Santa Maria la Longa,
Sedegliano, Talmassons, Tapogliano, Tarcento, Tavagnacco, Terzo d’Aquileia, Torreano,
Torviscosa, Treppo Grande, Tricesimo, Trivignano Udinese, Udine, Varmo, Villa Vicentina, Visco.
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Articolo 4
Norme per la viticoltura - Le condizioni ambientali di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini di cui all'art. 2
devono essere quelle tradizionali della zona e, comunque, atte a conferire alle uve ed ai vini le
specifiche caratteristiche di qualità. Sono pertanto da considerarsi idonei ai fini dell' iscrizione
nello Schedario viticolo, tutti i vigneti ubicati in terreni adatti alla coltivazione ad esclusione di
quelli ad alta dotazione idrica con risalita della falda e quelli torbosi. - I sesti d’impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli
generalmente usati e, comunque, atti a non modificare le caratteristiche delle uve e dei vini. Per i
nuovi impianti e i reimpianti, sono ammesse le forme di allevamento a parete verticale e GDC ad
esclusione del tendone e della pergola con una densità' dei ceppi per ettaro non inferiore a 3.500 in
coltura specializzata. - È vietata ogni pratica di forzatura. È ammessa l'irrigazione di soccorso.
- La produzione massima di uva per ettaro di vigneto a coltura specializzata non deve superare i
limiti di seguito indicati per ciascuna tipologia e deve inoltre assicurare, per ogni tipologia di vino i
titoli alcolometrici volumici naturali minimi come appresso indicati:
Tipologia Resa massima Titolo
per ha (T) alcolometrico
vol. naturale
min.
Bianco 14,00 10,00%
Cabernet 13,00 10,00%
Cabernet Franc 13,00 10,00%
Cabernet Sauvignon 14,00 10,00%
Chardonnay 14,00 10,00%
Friulano 14,00 10,00%
Malvasia 12,00 10,00%
Merlot 14,00 10,00%
Pinot Bianco 14,00 10,00%
Pinot Grigio 14.00 10,00%
Pinot Nero 14,00 10,00%
Refosco peduncolo rosso 14,00 10,00%
Ribolla Gialla spumante 14,00 9,50%
Riesling 13,00 10,00%
Rosso 14,00 10,00%
Sauvignon 14,00 10,00%
Traminer Aromatico 13,00 10,00%
Verduzzo Friulano 14,00 10,00%
Spumante 14,00 9,50% - Nelle annate favorevoli i quantitativi di uve ottenuti e da destinare alla produzione dei vini a
denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» devono essere riportati nei
limiti di cui sopra purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi, inoltre la
Regione Friuli Venezia Giulia, su richiesta motivata del Consorzio di tutela e sentite le
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organizzazioni di categoria interessate, prima della vendemmia, con proprio decreto, può stabilire
ulteriori diverse utilizzazioni/destinazioni delle succitate uve. - La Regione Friuli Venezia Giulia, per conseguire l’equilibrio di mercato o per sopraggiunte
calamità naturali, su proposta del Consorzio di tutela della denominazione, sentite le organizzazioni
di categoria interessate, prima della vendemmia, con proprio decreto, può altresì, stabilire un limite
massimo di utilizzazione di uva e/o di vino per ettaro per la produzione dei vini a denominazione di
origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» inferiore a quello fissato dal presente
disciplinare. La Regione Friuli Venezia Giulia può altresì consentire ai produttori di ottemperare
alla riduzione di resa massima classificabile anche con quantitativi di vino della medesima
denominazione/tipologia giacente in azienda, prodotti nelle tre annate precedenti.
Articolo 5
Norme per la vinificazione - Le operazioni di vinificazione e di affinamento devono essere effettuate all'interno della zona di
produzione di cui al precedente art. 3. Tuttavia, tenuto conto delle situazioni tradizionali di
produzione e vinificazione, è consentito che tali operazioni vengano effettuate anche nei comuni di
Cordignano, Orsago, Gaiarine, Portobuffolè, Mansuè, Meduna di Livenza e Motta di Livenza in
provincia di Treviso e nei comuni di Portogruaro, Pramaggiore ed Annone Veneto in provincia di
Venezia. Inoltre, le operazioni di spumantizzazione per le tipologie «Ribolla gialla spumante» e
«Spumante», ossia le pratiche enologiche per la presa di spuma, per la stabilizzazione e la
dolcificazione nelle tipologie ove ammessa, tenuto conto delle situazioni tradizionali, sono
consentite anche nelle Provincie di Treviso, di Venezia e nel comune di Dobrovo nella Repubblica
di Slovenia. - La resa massima dell'uva in vino non deve essere superiore al 70% per le tipologie Cabernet,
Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Merlot, Pinot nero, Refosco dal peduncolo rosso e Rosso,
mentre per le rimanenti tipologie non può essere superiore al 75%. Qualora la resa uva/vino superi
detto limite, ma non oltre l’80%, l'eccedenza non avrà diritto alla denominazione di origine
controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» se la resa uva/vino supera l’80% decade il diritto alla
denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» per l'intera partita. - Per il vino spumante a denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia»
«Spumante», «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla spumante», «Friuli» o «Friuli
Venezia Giulia» «Spumante metodo classico» e «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla
spumante metodo classico» la resa massima dell'uva in vino finito non deve essere superiore al
65%. Qualora la resa uva/vino superi detto limite, ma non oltre il 70%, l'eccedenza non avrà diritto
alla denominazione di origine controllata. - Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche locali, leali e costanti, atte a
conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche. È consentito l'arricchimento dei mosti e dei vini di
cui all'art. 1 nei limiti stabiliti dalle norme comunitarie e nazionali, con mosti concentrati ottenuti da
uve dei vigneti iscritti allo Schedario viticolo della stessa denominazione di origine controllata
oppure con mosto concentrato rettificato o a mezzo concentrazione a freddo o altre tecnologie
consentite. - Le tipologie «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla spumante» e «Friuli» o «Friuli
Venezia Giulia» «Spumante» devono essere ottenute esclusivamente per fermentazione naturale in
autoclave. La durata del processo di elaborazione, compreso l’invecchiamento nell’azienda di
produzione, calcolata dall’inizio della fermentazione destinata a rendere il vino spumante, deve
essere di minimo 90 giorni. La durata della fermentazione destinata a rendere spumante la partita, e
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la durata della permanenza della medesima sulle fecce non può essere inferiore a 90 giorni in
recipienti senza agitatori oppure di 30 giorni se la fermentazione avviene in recipienti provvisti di
dispositivi agitatori. - Il vino spumante a denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia»
«Spumante» e «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla spumante» può utilizzare il
millesimo quando la durata dell’intero processo di elaborazione in autoclave, ivi compreso
l’affinamento in bottiglia, è di almeno 18 mesi. La durata della fermentazione e della permanenza
sulle fecce deve essere di minimo 12 mesi in recipienti senza agitatori e di minimo 9 mesi in
recipienti con dispositivi agitatori ed è immesso al consumo dopo ventiquattro mesi dal 1°
novembre dell’anno di raccolta delle uve e purché l’85% della cuvée sia riferito all’annata cui fa
riferimento il millesimo. - Le operazioni di vinificazione, elaborazione e fermentazione in bottiglia del vino a
denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Spumante metodo
classico» e «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla spumante metodo classico» devono
essere effettuate nell'interno della zona di produzione delimitata nel precedente articolo 3. - Le operazioni di tiraggio (rifermentazione in bottiglia e presa di spuma), per il metodo classico,
sono consentite a partire dal 1° febbraio successivo all’anno di produzione delle uve. - La durata del processo di elaborazione dei vini a denominazione di origine controllata «Friuli» o
«Friuli Venezia Giulia» «Spumante metodo classico» e «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla
gialla spumante metodo classico», compreso l’invecchiamento nell’azienda di produzione, calcolata
dall’inizio della fermentazione destinata a renderli spumanti non può essere inferiore a 9 mesi e
deve essere altresì affinato almeno 9 mesi in bottiglia e immesso al consumo non prima di 25 mesi.
a partire dal 1° febbraio successivo all’anno di produzione delle uve. - Le bottiglie di vino atto a divenire a denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli
Venezia Giulia» «Spumante metodo classico» e «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla
spumante metodo classico» non etichettate e ancora in fase di elaborazione, cioè non atte al
consumo diretto, purché con tappo a corona munite dell'idoneo documento accompagnatorio
possono essere cedute nell'interno della sola zona di elaborazione di cui al precedente comma. - La preparazione del vino spumante base può essere ottenuta da una mescolanza di vini di annate
diverse, sempre nel rispetto dei requisiti previsti dal disciplinare; per il «Friuli» o «Friuli Venezia
Giulia» «Spumante metodo classico» e «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla spumante
metodo classico» millesimato, è obbligatorio l'utilizzo di almeno l'85% del vino dell'annata di
riferimento. - Il vino spumante a denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia»
«Spumante metodo classico» e «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla spumante metodo
classico» può utilizzare il millesimo se il periodo di elaborazione e invecchiamento nelle aziende
elaboratrici si compone di almeno trenta mesi di affinamento in bottiglia ed è immesso al consumo
dopo trentasette mesi dal 1° novembre dell’anno di raccolta delle uve e purché l’85% della cuvée
sia riferito all’annata cui fa riferimento il millesimo. - I vini delle altre denominazioni di origine regionali possono essere riclassificati con la
denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» purché, la zona di
produzione ricada interamente nella delimitazione di cui al precedente art. 3, i vini abbiano i
requisiti previsti dal presente disciplinare e la resa massima della denominazione riclassificante sia
inferiore o uguale a quella prevista dal presente disciplinare, previa comunicazione del detentore
agli organi competenti.
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Articolo 6
Caratteristiche dei vini al consumo - I vini a denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia», all'atto
dell'immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche:
Bianco:
- colore: giallo paglierino più o meno intenso a volte con riflessi verdognoli;
- odore: gradevole, fine;
- sapore: asciutto, armonico;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
- acidità totale minima: 4,0 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 14,0 g/L;
Chardonnay: - colore: giallo paglierino più o meno intenso;
- odore: delicato, caratteristico, fruttato;
- sapore: asciutto, armonico;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
- acidità totale minima: 4,0 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 14,0 g/L
Friulano: - colore: dal giallo paglierino al giallo dorato;
- odore: caratteristico;
- sapore: asciutto, armonico;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
- acidità totale minima: 4,0 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 14,0 g/L;
Pinot bianco o Pinot blanc: - colore: giallo paglierino più o meno intenso a volte con riflessi verdognoli;
- odore: caratteristico, fruttato;
- sapore: asciutto, armonioso, delicato e vellutato;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
- acidità totale minima: 4,0 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 14,0 g/L;
Pinot grigio o Pinot gris: - colore: giallo paglierino più o meno intenso o ramato;
- odore: caratteristico, fruttato;
- sapore: asciutto, armonico, da secco ad abboccato;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
- acidità totale minima: 4,0 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 14,0 g/L;
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Sauvignon o Sauvignon blanc: - colore: giallo paglierino più o meno intenso a volte con riflessi verdognoli;
- odore: caratteristico, fruttato;
- sapore: asciutto, armonico;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
- acidità totale minima: 4,0 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 14,0 g/L;
Malvasia - colore: giallo paglierino più o meno intenso;
- odore: fruttato, caratteristico;
- sapore: asciutto, rotondo, armonico;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
- acidità totale minima: 4 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 14 g/l;
Riesling: - colore: giallo paglierino più o meno intenso a volte con riflessi verdognoli;
- odore: semi aromatico, caratteristico, fine;
- sapore: dal secco all’abboccato;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
- acidità totale minima: 4 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 14 g/l;.
Traminer aromatico: - colore: giallo paglierino più o meno intenso a volte con riflessi verdognoli;
- odore: aromatico, intenso;
- sapore: intenso, asciutto e aromatico, dal secco all’abboccato;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
- acidità totale minima: 4 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 14 g/l;
Ribolla gialla Spumante: - spuma: fine e persistente;
- colore: giallo paglierino più o meno intenso ;
- odore: fine, caratteristico;
- sapore: vivace, armonico, extra brut, brut, extra dry;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00%,
- acidità totale minima: 5,0 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l;
Ribolla gialla Spumante metodo classico: - spuma: fine e intensa;
8 - colore: dal giallo paglierino con diversa intensità al giallo dorato;
- odore: fine, ampio;
- sapore: sapido, armonico, pas dosè, extra brut, brut, extra dry;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00%,
- acidità totale minima: 5,0 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l;
Spumante: - spuma: fine e persistente;
- colore: giallo paglierino più o meno intenso ;
- odore: fine, caratteristico;
- sapore: sapido, armonico, extra brut, brut, extra dry;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00%,
- acidità totale minima: 5,0 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l;
Spumante metodo classico: - spuma: fine, persistente;
- colore: dal giallo paglierino al giallo dorato;
- odore: caratteristico, fine, talvolta con sentori di lievito;
- sapore: sapido, armonico, pas dosè, extra brut, brut, extra dry;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00%,
- acidità totale minima: 5,0 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l
Verduzzo friulano: - colore: dal giallo paglierino carico anche dorato all’ambrato;
- odore: intenso, armonico;
- sapore: armonico, dal secco al dolce;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
- acidità totale minima: 4,0 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L
Rosso: - colore: rosso rubino tendente al granato se invecchiato;
- odore: intenso, fine;
- sapore: asciutto, secco, corposo e armonico;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
- acidità totale minima: 4,0 g/l;
- estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L;
Cabernet: - colore: rosso rubino;
9 - odore: intenso, caratteristico;
- sapore: asciutto, di corpo, armonico, talvolta leggermente erbaceo;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
- acidità totale minima: 4,0 g/L;
- estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L;
Cabernet franc: - colore: rosso rubino, tendente al granato con l’invecchiamento;
- odore: erbaceo, intenso;
- sapore: asciutto, asciutto, leggermente erbaceo, pieno, tannico, corrispondente all’olfatto;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
- acidità totale minima: 4,0 g/L;
- estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L;
Cabernet sauvignon: - colore: rosso rubino tendente al granato con l’invecchiamento;
- odore: caratteristico, gradevole, intenso;
- sapore: asciutto, armonico;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
- acidità totale minima: 4,0 g/L;
- estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L;
Merlot: - colore: rosso rubino;
- odore: intenso, caratteristico;
- sapore: asciutto, talvolta leggermente erbaceo, strutturato, sapido, invecchiando si affina
acquistando in complessità ed equilibrio; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
- acidità totale minima: 4,0 g/L;
- estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L;
Refosco dal peduncolo rosso: - colore: rosso rubino violaceo intenso;
- odore: intenso, fruttato;
- sapore: asciutto, talvolta amarognolo;
- titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
- acidità totale minima: 4,0 g/L;
- estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L;
Pinot nero o Pinot noir: - colore: rosso rubino, tendente al granato con l’invecchiamento;
- odore: fine, caratteristico;
- sapore: armonico, asciutto o abboccato;
10 - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
- acidità totale minima: 4,0 g/L;
- estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L;
- Qualora i vini delle tipologie descritte dal presente disciplinare siano vinificati o affinati in legno,
possono presentare il caratteristico sentore di legno.
Articolo 7
Designazione e presentazione - Nella designazione dei vini «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» il nome del vitigno deve figurare
in etichetta in caratteri di dimensioni non superiori a quelli utilizzati per la denominazione di
origine. - Le menzioni consentite nell’etichettatura possono essere utilizzate nelle lingue italiana e/o
slovena in base alle norme sul bilinguismo in vigore per la regione autonoma Friuli Venezia Giulia. - E’ vietato usare, insieme alla Denominazione di Origine Controllata «Friuli» o «Friuli Venezia
Giulia», qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quelle previste dal presente disciplinare di
produzione, ivi compresi i termini “extra”, “fine”, “scelto”, “selezionato”, “superiore”, “vecchio” e
similari.
Articolo 8
Confezionamento - Per il confezionamento dei vini di cui all'articolo 1 sono consentiti tutti i contenitori previsti dalla
normativa vigente. - Per tutti i vini di cui all'articolo 1 sono consentiti i sistemi di chiusura previsti dalla normativa
vigente ad esclusione del tappo a corona e per le versioni spumanti il tappo in plastica.
Articolo 9
Legame con l’ambiente geografico
A) Informazione sulla zona geografica.
- Fattori naturali rilevanti per il legame
Categoria vino e vino spumante
La zona geografica delimitata comprende il territorio amministrativo dei comuni della Regione
Friuli Venezia Giulia indicati nell’Art. 3, appartenenti alle provincie di Gorizia, Pordenone, Trieste
e Udine.
Il Friuli-Venezia Giulia è la regione più nord-orientale d'Italia. La superficie si estende su 7.856
Kmq. Confina con l'Austria a nord e la Slovenia ad est, ad ovest con la regione Veneto mentre a sud
si affaccia sul mare Adriatico. La regione si estende su una grande varietà di climi e paesaggi,
passando dal mite clima mediterraneo della costa al clima continentale della media pianura, fino a
quello alpino. La superficie totale è suddivisa in un 42,5% di montagna a nord, un 19,3% di collina,
prevalentemente a sud-est, mentre il restante 38,2% comprende la pianura e la costa.
Data la grande estensione, gli ambienti rappresentati mostrano, dopo un’attenta analisi, una
considerevole varietà di elementi morfologici che, nel loro insieme, danno vita ad un paesaggio
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molto articolato in cui i rilievi collinari sfumano nella pianura. La denominazione può essere così
suddivisa in tre aree morfologiche prevalenti:
- L'area collinare, che si trova a sud delle montagne e lungo la parte centrale del confine con
la Slovenia, caratterizzata da suoli composti da flysch con prevalenza di marne sulle arenarie - Le pianure centrali, caratterizzate da suoli poveri, aridi e permeabili
- La zona costiera, che può essere ulteriormente suddivisa in due parti, occidentale e orientale,
separate dalla foce del fiume Isonzo. Qui, a ovest la costa è bassa e sabbiosa, mentre ad est
la costa è caratterizzata da un profilo roccioso, dove il Carso incontra l'Adriatico, fino alla
Val Rosandra e Muggia, al confine con la Slovenia.
Le Prealpi Giulie, poste a nord della zona collinare, costituiscono un efficace riparo dai venti freddi
settentrionali. Questa cerchia, unitamente alla vicina costa adriatica che dista una quarantina di
chilometri, contribuisce a mitigare le escursioni termiche, favorendo l’instaurarsi di un microclima
mite e temperato del quale la viticoltura si avvantaggia particolarmente. Nelle zone orientali, in
particolare, è presente l’effetto dei freschi venti dell’est, in primis la bora, che portano ad una
favorevole situazione per la maturazione delle uve e dei loro precursori aromatici. La differente
tessitura dei terreni influenza in primo luogo la penetrazione degli apparati radicali delle viti, infatti
nei terreni sciolti, le radici si approfondiscono per parecchi metri consentendo un costante
rifornimento idrico e minerale alla pianta, mentre lo strato superficiale del suolo si può disidratare
senza alcun inconveniente. Ciò porta a prodotti qualitativamente migliori come si ottengono nei
terreni alluvionali ciottolosi e sabbiosi tipici del Friuli, che vengono ricondotti dalla classificazione
comunitaria ai terreni vocati per la coltivazione della viticoltura di qualità.
Ci sono delle caratteristiche ambientali comuni che sono riconducibili al ruolo calorifico dei terreni
della DOC Friuli, cioè della loro capacità di riscaldarsi, che influenzano notevolmente
l’assorbimento radicale. Tali terreni hanno una buona conducibilità termica, inducono una buona
attività radicale durante la fase vegetativa e, con la disidratazione estiva del terreno, permettono
l’arresto dell’attività vegetativa e quindi un migliore accumulo di sostanze zuccherine, aromi
primari, precursori aromatici, sostanze polifenoliche, antociani, sostanze azotate e composti acidici,
nelle bacche. Un altro fattore comune, caratteristico dei terreni della DOC Friuli, è la buona
concentrazione di micro-elementi che sono strettamente legati alla qualità dei vini, infatti il
patrimonio enzimatico è fortemente influenzato dal tipo di terreno e l’attività degli stessi è
influenzata dalla concentrazione di microelementi nel terreno. Tale dotazione di micro-elementi nei
terreni, influisce sulla stabilità enzimatica che è responsabile delle caratteristiche ossidative o
riducenti dei vini fintanto nella caratterizzazione del bouquet aromatico ed è proprio per questi
motivi che è possibile ritrovare un filo conduttore negli aromi dei vini della DOC Friuli.
Il clima della regione si caratterizza per la presenza di estati calde ma non afose e di inverni freddi e
mediamente piovosi. Le temperature medie estive sono di 21,5 – 22,5°C, mentre le medie invernali
sono di circa 4°C. Le tre zone presentano regimi pluviometrici distinti che vanno dai 1.000-1.200
mm della fascia costiera ai 1200-1800 della fascia delle pianure centrali e collinare, fino ai 2.500-
3.000 della fascia prealpina. L’entità delle precipitazioni aumenta gradualmente procedendo dalla
bassa pianura verso la zona pedemontana occidentale del territorio. La stagione invernale risulta
essere ovunque la meno piovosa; durante la stagione primaverile, a partire dal mese di marzo, le
precipitazioni diventano via via più elevate fino a raggiungere un massimo relativo nel mese di
giugno. In corrispondenza del mese di luglio si riscontra una diminuzione piuttosto brusca con
valori paragonabili a quelli dei mesi invernali. Nel corso dell’autunno si nota un nuovo aumento
fino al massimo di novembre. Esiste una forte variabilità delle precipitazioni negli anni. La
variabilità tra anni più siccitosi e anni più piovosi risulta particolarmente accentuata nel periodo
autunnale ed invernale. Le differenze tendono a diminuire, invece, durante la primavera. Queste
variazioni chiaramente influenzano le caratteristiche dei vini, infatti in annate più fredde e piovose,
riferite però al periodo vegetativo della vite (da marzo a settembre) i vini si caratterizzano per una
presenza maggiore di composti acidici e minore di quelli zuccherini, viceversa le annate calde ed
asciutte comportano un aumento delle concentrazioni zuccherine e ad una diminuzione delle acidità.
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Si può però mediamente considerare che le zone collinari a nord e ad est della Denominazione sono
caratterizzate mediamente da temperature leggermente inferiori alla pianura e da precipitazioni
maggiori durante la fase vegetativa e questo mediamente comporta una produzione di vini con un
corpo maggiore e una struttura più elevata, viceversa la pianura anche se caratterizzata da
precipitazioni inferiori può contare sull’apporto delle irrigazioni di soccorso che di fatto, tendono ad
annullare la differenza che ci sono con i vigneti delle zone collinari.
Per quanto riguarda i siti della pianura della denominazione “Friuli” è possibile dividerla tra est e
ovest, a ovest il clima è tra i più caldi e di giorno il riscaldamento dovuto ai raggi solari è molto
efficace per la scarsità di nebbie e ci sono buone escursioni termiche. Mediamente queste zone sono
costituite da depositi alluvionali che si sono formati dai materiali trasportati dai vari fiumi
(Tagliamento, Isonzo, Torre, Natisone, Stella, Meduna, Livenza, Cellina, Noncello, Judrio, ecc..)
che scorrono all’interno della regione. Tali depositi hanno dato origine a suoli con tessitura che va
dalla franco-sabbiosa alla franco-sabbiosa-limosa e talvolta sono caratterizzati dalla presenza di
sedimenti limoso-argillosi profondi, inoltre la zona centrale dalla pianura delle provincie di Udine e
Pordenone è contraddistinta da enormi quantitativi di materiale calcareo-dolomitico strappati alla
montagna dalla violenza delle acque e trascinati a valle lungo il loro alveo, L'intera pianura è
formata da terreno di origine alluvionale, grossolano nella parte più settentrionale, più minuto man
mano che i fiumi proseguono il loro corso verso sud.
La pianura a est si caratterizza per un terreno del tipo ferretto o assimilabili ad esso, quindi c’è una
prevalenza di ghiaia ricoperta o mista ad uno strato di materiale terroso alterato di spessore dai 30 ai
70 cm.
Questi terreni sono fondamentalmente responsabili della non elevata alcolicità dei vini della “DOC
Friuli” anche se riescono a donare agli stessi una buona raffinatezza specialmente per gli aromi in
particolare dei vini bianchi, infatti i sentori freschi e fragranti del Pinot grigio e quelli fruttati e
floreali del Pinot bianco, del Friulano dello Chardonnay sono il risultato diretto di questa influenza.
La zona collinare della denominazione si caratterizza a est per una prevalenza nei terreni delle
marne eoceniche miste ad arenaria, che costituiscono il cosiddetto “Flysch di Cormòns” che in
lingua friulana viene comunemente chiamata “Ponca”, mentre le zone collinari a ovest e a nord
sono caratterizzate dalla presenza di terreno morenico ove, i detriti ghiaiosi sono spesso mescolati
con frazioni di matrice argillosa siltosa. I vigneti coltivati nelle zone in cui è presente la “Ponca”
sono caratterizzati dalla produzione di uve che danno vini di buona struttura e con un corpo più
elevato rispetto a quelli della pianura. In particolare, i vini rossi che si ottengono da vigneti coltivati
in collina hanno un’eleganza e una finezza di grande spessore. Sono proprio in queste zone che i
vitigni esprimono tutta la loro tipicità, infatti sia Merlot che il Cabernet franc, sono caratterizzati da
delle note leggermente erbacee sia al naso che in bocca. Ma anche i vini bianchi che si producono in
vigneti di collina ottengono un’influenza positiva infatti le varietà come il Verduzzo friulano
riescono ad esprimere la sua elevata armonia sia all’olfatto che al palato, anche il Bianco trae grandi
benefici dai terreni in cui c’è la “Ponca” infatti può presentare degli aromi complessi che vanno dal
floreale al fruttato ma che possono evolversi anche in eleganti aromi terziari che si esaltano assieme
ai primari e secondari normalmente presenti in essi.
Un altro fattore importante, causato dall’interazione del clima e del terreno sui vini della “DOC
Friuli”, è sicuramente rappresentato, dalla lunga durata nel tempo sia dei vini rossi che di quelli
bianchi, infatti tali vini possono durare oltre un decennio dalla data di vendemmia, mantenendo e
migliorando le proprie caratteristiche organolettiche.
- Fattori umani rilevanti per il legame
Categoria vino e vino spumante.
La coltivazione della vite nel territorio dell’attuale regione Friuli Venezia Giulia è stata protagonista
indiscussa fin dall’antichità. La vitivinicoltura nella zona ha storia antica, le sue origini risalgono al
700 a.C come si evince dalle testimonianze raccolte nelle antiche scritture greche e romane e
successivamente avvalorate durante la colonizzazione romana come testimoniano gli scritti di
Erodiano, Tito Livio e Strabone. In epoca romana il vino Pucino era molto apprezzato alla corte
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imperiale di Roma ed il Senato inviò ad Aquileia dei coloni per diffondere la coltivazione della vite.
Aquileia, terza città dell’Impero, per alcuni secoli fu il luogo dal quale il vino prodotto in tutto il
Friuli Venezia Giulia veniva spedito verso le regioni nord-orientali dell’Europa.
Sotto la dominazione Longobarda la coltivazione della vite godette di un periodo di espansione
testimoniato anche da pregevoli reperti archeologici conservati a Cividale del Friuli, in particolare
presso il tempietto Longobardo.
“Lo stesso anno (181 a.C) fu dedotta nel territorio dei Galli la colonia latina di Aquileia. I tremila
fanti (che la costituirono) ebbero cinquanta iugeri (Jugero-iugerum: corrispondeva al terreno
arato in un giorno da una coppia di buoi e misurava m. 35,5x71 pari a 2.520 mq.) di terreno
ciascuno; i centurioni cento e i cavalieri centoquaranta. Alla deduzione provvidero i tre incaricati
Publio Scipio ne Nasica, Gaio Flaminio e Lucio Mantio Acidino”.
È l’atto di nascita della futura Aquileia, riportato da Livio nel Libro 40,34 degli Annali. Con tutta
probabilità̀ è l’inizio della vera e propria coltivazione della vite in Friuli. Forse la vite e la
produzione di vino esistevano anche prima dell’occupazione romana quando in Friuli vivevano i
Celti: Strabone infatti accenna che l’Aquileia preromana riforniva di vino ed olio i popoli vicini.
Ed è probabile che il vino che i Greci celebravano con molte lodi col nome di Pictaton, e che
dicevano provenire dai limiti estremi dell’Adriatico, fosse il Pucino dell’imperatrice Livia. Un fatto
è certo: è con l’arrivo dei Romani e con il deciso sviluppo agrario da loro impresso che il vino
diventa “abbondante ed a buon prezzo”. Lo storico greco Erodiano ci dà una immagine precisa
delle vigne di quei tempi nella sua “Storia dell’imperatore Massimino”: nella campagna di Aquileia
“disposti sono gli alberi ad eguali distanze, ed accoppiate sono le viti, formando un quadro giulivo,
tanto da sembrare quelle terre adorne di corone frondeggianti”. Il primo secolo avanti Cristo fu
per Aquileia ed il Friuli un periodo di pace e di grande sviluppo. Augusto, divenuto arbitro del
potere (27 a.C profuse molto impegno al consolidamento dei confini nord-orientali ponendo al
centro di tale sistema Aquileia, dove vi soggiornò più volte, anche assieme a Livia che era una
profonda estimatrice del Pucino, il vino che si produceva presso le fonti del Timavo ed al quale
l’imperatrice stessa attribuiva gran merito dei suoi 86 anni, avendo bevuto solo questo vino. Quando
Augusto diede all’Italia il nuovo ordinamento amministrativo, creò la X Regio Venetia et Histria
con capitale Aquileia, che divenne un centro produttivo e commerciale di grandissima importanza
sfruttando pienamente il lungo periodo di congiuntura favorevole della “Pax Romana Augusta”. Le
migliaia di anfore trovate nel porto di Aquileia, molte di esse con acini dentro, stanno a sottolineare
il grande volume dei traffici legati al vino.
Nonostante le botti venissero adoperate per servire i mercati più freddi del Nord e dell’Est, nei
secoli a seguire l’uso delle anfore non venne abbandonato. Una conferma ci viene da un prezioso
documento del 762 che riguarda l’elenco dei beni di tre ricchi fratelli longobardi, Erfo, Anto e
Marco, del 762, che fondarono il Monastero femminile in Salt di Povoletto (a nord di Udine), dove
si era ritirata la loro madre Piltrude. Monastero al quale i liberi coltivatori, probabilmente livellari,
di Medea e di Cisis, dovevano dare ogni anno cento anfore di vino. Il documento, sottolinea
Gaetano Perusini, prova che in Friuli, anche nei periodi più travagliati del Medioevo, la coltivazione
della vite era ancora largamente diffusa fra un ceto di piccoli coltivatori liberi, non astratti cioè da
vincoli servili verso i proprietari del suolo, ma semplicemente obbligati da contratti liberamente
stipulati (il documento del 762, infatti, parla chiaramente di “chartae”). Alle cento anfore di vino
ricordate, va aggiunto il vino prodotto delle vigne del monastero. Era, quindi, una quantità
ragguardevole e certamente superiore al fabbisogno interno della piccola comunità monastica
femminile. Per cui è facile concludere che parte del vino venisse venduto. L’attività agricola
durante il periodo longobardo non cessò, anche se il problema dell’abbandono delle terre coltivate
caratterizzò tutto il periodo. La perdita dei grassi subita con il quasi totale abbandono della coltura
dell’olivo viene compensata da quelli del maiale che diventa strumento di essenziale sussistenza. I
Longobardi allevano cavalli, oltre che a produrre miglio, panico, sorgo, spelta, segale e orzo. Si
piantano anche vigneti e frutteti, tant’è che vennero emanate delle leggi che per la prima volta
tendono a creare una diversa proprietà fra la terra e l’albero appositamente piantato. Anche se molti
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studiosi di storia economica sostengono che nell’Alto Medioevo il commercio fosse pressoché
scomparso, il documento del 762 sembra invece testimoniare che il commercio del vino in Friuli si
era mantenuto vivace. Certo: la regione Friuli subì danni gravissimi dalle invasioni, specialmente
nelle città. Ma l’esistenza del commercio del vino ci fa pensare ad una vita cittadina dove gli scambi
commerciali erano superiori a quanto gli storici non siano soliti ammettere. Lo studio sulle
campagne friulane nel tardo medioevo fatto da P. Cammarosano (Udine 1985), ci conferma che nel
Medioevo “il vino era prodotto in tutta la pianura, dall’isontino al Tagliamento alla linea delle
risorgive, ed ampia era la sua diffusione nelle zone collinari: nel Collio, nel Cividalese, sulle
colline moreniche a Nord di Udine”. Comunque, il trasporto del vino con le anfore, facile ed ideale
per le navi, stava cedendo sempre di più il passo alle botti, più leggere e maneggevoli.
“L’anfora fu sostituita dalle botti per il trasporto del vino durante il terzo secolo d.C., cioè quando
il flusso del vino da Roma verso le colonie prese la direzione opposta, e furono i popoli celtici che
cominciarono a rifornire l’Italia. La botte, così come noi la conosciamo, fu inventata dai Celti...”.
Dai Celti detta Gallia Transalpina. Così sostiene Hugh Johnson (Il vino. Storia tradizioni cultura,
1991), che però non cita né Aquileia (i cui mercati, sono sempre stati, oltre all’Italia, il Nord Europa
e l’Est) né Antonio Zanon (Dell’Agricoltura, delle Arti, del Commercio. Tomo III, Lettera V pag.
i;8. 1764) che osserva, invece, come “Nella storia del Commercio d’Aquileia... si vedrà quanto
fertile di vino fosse il Friuli fino nel secondo secolo. Conviene, che Domiziano avesse rispettate le
viti del Friuli, come destinate per i vini più esquisiti, che si trasportavano nelle cantine Imperiali. I
Friulani di que’ tempi - sostiene lo Zanon - furono cotanto ingegnosi che inventarono le botti di
legno, come vi sono ragionevoli congetture”. (L’imperatore Domiziano, alla fine del I secolo, in
effetti con un editto proibì a chiunque di piantare nuove viti in Italia e impose di far tagliare i
vigneti nelle province, conservandone al massimo la metà. Sul mercato, allora, c’era abbondanza di
vino, mentre scarseggiava il frumento. È quindi probabile che, con un anticipo storico di una
politica agraria che duemila anni dopo avrebbe adottato anche L’Unione europea, si sia imposto
l’estirpo dei vigneti per rivolgersi a colture ritenute di maggior necessità economica come il
frumento; i vigneti che vennero risparmiati, con tutta probabilità, saranno stati i migliori e tra questi,
secondo lo Zanon, quelli del Friuli. Anche se, come ci informa Svetonio nel De vita caesarum,
L’imperatore non insistè molto nel far rispettare l’editto) Tito Maniacco ne I senzastoria, osserva
che “non è certamente vero quel che sostiene lo studioso friulano del ‘700, Antonio Zanon, quando
afferma che la botte è un’invenzione friulana”. Ma non spiega il perché di questa sua affermazione,
limitandosi a notare che “È caratteristico della zona (il Friuli ndr) che la botte, invenzione celta,
fosse ampiamente usata”. Gaetano Perusini, nel suo Bacco in Friuli (1967) asserisce che “all’epoca
romana la vite era largamente coltivata nella nostra terra come si può desumere da un passo di
Erodiano (storico greco vissuto nel III sec. d.C. ndr) il quale testimonia che l’imperatore
Massimino il Trace (nel 238 d.C. ndr) potè passare l’sonzo in piena sopra un ponte fatto legando
assieme le botti abbandonate nelle campagne dagli abitanti in fuga”. (Herodiani, Historie Lib. VII
- cap. 4). Giova notare che, mentre Johnson dice che la sostituzione delle anfore con le botti avviene
nel III sec. d.C., Erodiano ci ricorda che nel Friuli romano le botti erano molto usate già nel 238
d.C. e che quindi si può supporre fossero state adottate moltissimi anni prima. A conferma di ciò
Strabone (circa 63 a.C. - 21 d.C.) in “Geographica”, ci fa sapere che Aquileia, nell’alto Adriatico,
funzionava da emporio per le tribù dell’illiria ed era nota per possedere botti di vino grandi come
case. Ancora Perusini afferma che “Bacco arrivò in Friuli in epoche lontane, certamente prima che
in Francia; il vino allietava gli abitanti della nostra regione quando La Gallia Transalpina ignorava
ancora l’esistenza della vite”. Questa, del Perusini, è l’interpretazione storica più accreditata, quella
degli autori romani, sostenuta, poi, dalle prove archeologiche. “Ma c’è chi è spinto, annota Johnson,
dal proprio orgoglio gallico a cercare più indietro nel tempo e a sostenere che furono i remoti
predecessori dei Celti a gettare le basi della viticoltura francese”. Solo con la fondazione di Narbo
(La futura Narbonne) nel 118 a.C., la viticoltura romana si consolida. Il progetto di sviluppo della
nuova colonia, che poi diverrà la capitale effettiva di tutta la Gallia Transalpina, ricalcava quello
adottato per Aquileia (181 a.C.). Ad Aquileia i vigneti vennero piantati molto prima; inoltre i suoi
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sbocchi commerciali, favoriti dal porto protetto dalla Laguna di Grado e quindi in posizione
strategica sia per la produzione che per la distribuzione al di fuori dei mercati locali, erano da
sempre rivolti soprattutto verso l’Est e il Nord: paesi molto freddi per i quali il trasporto, che
avveniva anche via terra, offriva minori garanzie con le anfore di quello fatto con le botti. Ed il vino
rappresenta una grande quota di tali commerci, tanto che, visti anche gli alti consumi, veniva
importato dall’Istria e dal veronese. Il che ci riporta alla nostra piacevole “querelle” sulla paternità
delle botti.
“Vi sono ragionevoli congetture” che fossero stati i friulani di allora ad inventarle. I Celti in Friuli
arrivano molto prima dei Romani. “Possiamo tuttavia con certezza affermare - scrive Gian Carlo
Menis nella sua Storia del Friuli - che tra il V ed il III secolo a.C. mentre tribù dei Norici, Taurisci
ed Istri occupavano le regioni transalpine nordorientali, altre tribù di Celti, provenienti dall’Europa
centrale, occuparono la regione (il Friuli) tra Livenza e Timavo, già lasciata libera dai Paleoveneti”.
Quando i primi Romani giungono in Friuli, nel 186 a.C., trovano i Celti, li combattono e li
annettono, assieme alle Loro tradizioni (che ancora oggi il Friuli tramanda), alle loro conoscenze. I
Celti sapevano lavorare molto bene il ferro, tant’è che le popolazioni che occupavano l’attuale
Carnia avevano messo a punto un aratro rivoluzionario. Nelle fonderie nei pressi di Monte Croce
carnico, dove producevano anche ottime falci, progettarono un aratro a ruota con vomere in ferro,
tale da incidere in profondità il terreno. Fu così che si sviluppò un’agricoltura basata sui cereali
resistenti al freddo, come orzo, avena e anche grano. I Celti-Friulani di allora, pertanto, avevano in
mano la “tecnologia” che poteva esser applicata anche alla lavorazione del legno per costruire te
doghe delle botti. Le botti, quindi, invenzione dei celti-friulani? Vi sono ragionevoli congetture per
crederci.
Durante il Medioevo il vino friulano, soprattutto la Ribolla, era dono gradito presso le corti europee,
successivamente ai luogotenenti della Serenissima Repubblica di Venezia o a quelli di influenza
austriaca al soldo dei conti di Gorizia. Come testimoniato da numerosi documenti, il vino costituiva
merce di scambio e mezzo di pagamento dei tributi o dei debiti.
Nel tardo Medioevo e, soprattutto, dall’inizio del ‘500, la regione fu suddivisa in due aree distinte:
in quella orientale il potere degli Asburgo si estendeva sul goriziano e sull’odierna Venezia Giulia,
mentre la Serenissima repubblica dominava il Friuli. I veneziani promuovevano il vino prodotto in
questi territori in tutti i suoi domini e lo utilizzavano negli scambi commerciali con gli altri Paesi
europei. Questo provocò l’innalzamento dei dazi doganali imposti dallo stato austriaco per
l’importazione dei vini nella contea di Gorizia e dei suoi porti. Il provvedimento portò aspetti
positivi in quanto venne incrementata la produzione locale e aumentarono le superfici investite a
vigneto nelle zone sottoposte alla dominazione austriaca, facendone una delle zone più pregiate
d’Europa.
“Venezia è entusiasta dei vini friulani (e dei ducati che rendeva il contado)” Francesco Michiel nel
1553 diceva che la bellissima Provincia era provvista di “vini perfettissimi di ogni sorte in
grandissima quantità”, mentre Nicolò Tiepolo (il medesimo che, in un solo anno, aveva saputo
sputare al già dissanguato Friuli oltre 230.000 ducati), nel 1735 descrive la Piccola Patria “fertile di
vini”. Il Settecento è il secolo che vede entrare sulla statica e superata scena enologica friulana
personaggi di grande spessore, che riuscirono a cogliere il nuovo messaggio che arrivava da tutta
l’Europa: la ricerca della qualità prendeva il sopravvento e dei vini finalmente se ne apprezzava lo
stile, il colore, i sapori che si stavano facendo raffinati. Il modello enologico era diventato la
Francia i cui vini, soprattutto della Borgogna, erano tanto celebri e costosi anche a Venezia da far
osservare ad Antonio Zanon che “verrà il momento... che cesserà ... il fanatismo pel vino di
Borgogna; e trovando i posteri nostri memorie del gran prezzo, che tal vino costò, crederanno, che
non un vino comune per le mense; ma nettare quasi celeste sia stato quello. ...ci debba correre (tra
i vini di Borgogna e quelli del Friuli ndr) nel prezzo un divario come di quaranta a uno”.
Comunque, quel soffio raggiunse Venezia e da lì qualche illuminato friulano. Il conte Lodovico
Bertoli pubblicò, nel 1747 a Venezia, all’età di 59 anni, il volumetto “Le vigne ed il vino di
Borgogna in Friuli”. Il Bertoli analizza, in maniera precisa, il mercato del vino in Europa
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osservando che “i Francesi sono già da gran tempo essi soli in possesso della vendita di questo
vantaggioso prodotto” in tutt’Europa. Il Bertoli constata che tra il Friuli e la Borgogna vi sono
sostanziali similarità di terreni e microclimi, quindi le condizioni per produrre vini di alta qualità
anche in Friuli ci dovrebbero essere tutte. Il problema stava negli uomini: da una parte, in
Borgogna, vi era una nazione “sollecitatissima” al proprio utile, mentre i friulani sono
“trascuratissimi”. Quindi andava modificata la mentalità dei proprietari terrieri “che il costume
reputa per troppo abbietta una tale occupazione”. Lo scritto del Bertoli è il frutto di molte
sperimentazioni condotte direttamente e quindi le proposte, che attraverso il libro lui intendeva
divulgare, sono reali, coerenti e tra loro organiche. Il centro sperimentale del Bertoli era a Biauzzo,
nella Bassa friulana, in località Marinutto. Venne individuato un terreno sciolto, simili a quelli,
appunto, della Borgogna e che si sapeva già dare ottimi risultati qualitativi. Il sesto d’impianto
scelto per piantare il vigneto era, per il Friuli, rivoluzionario, anche se in altre regioni italiane e in
Francia, Germania, Austria, Ungheria era ormai adottato: Bertoli contesta la coltura promiscua del
Friuli ed il sistema di allevamento della vite maritata agli alberi, detta “piantata friulana”. Lui è
deciso sostenitore di un vigneto a coltura specializzata, con le viti basse, sorrette da tutori secchi.
Vigneto lavorato, per tenerlo pulito dalle infestanti e orientato Nord-Sud. È ciò che farà su un
rettangolo con una base di 200 pertiche (circa 408 metri), dove “divisi in prima il sovradetto spazio
di terra in cento e trentaquattro file tendenti al mezzo giorno, e distanti all’intorno di quattro piedi
l’una dall’altra, feci nella prima fila cavare tutto lungo un fosso... si cominciò a piantare i
Magliuoli la metà colcati, e l’altra metà dritti,... che avessero... a rimanere due piedi distanti l’un
dall’altro.” Così “fu piantata tutta la vigna, avendosi posti in opera 6oo Magliuoli per ogni fila,
80400 in tutta la vigna” di Refosco di Biauzzo. Traccerà quindi 134 filari da 408 metri l’uno,
distanti tra loro 1,36 m e con le viti a 68 cm sulla fila. Ne uscirà un vigneto di 8,5 ettari con una
densità di 9.338 viti-ettaro. Un vigneto eccellente, avveniristico e sicuramente, per moltissimi
proprietari e contadini friulani, folle. Anche nella vinificazione si ispirò ovviamente alla Borgogna e
soprattutto al tono di colore di quei vini, che era di un rubino delicato. Ridusse la macerazione sulle
bucce al minimo indispensabile (una giornata e mezzo se le temperature erano elevate) onde evitare
quel colore intensissimo che tanto amavano i suoi compaesani, ma non i mercati, quello di Venezia
compreso. Raggiunto il colore desiderato, il mosto veniva travasato in una botte di castagno o di
ciliegio montano (certamente più gentile del precedente). Quando la fermentazione tumultuosa
diminuiva d’intensità, il foro della botte veniva chiuso con un tappo forato dove si infilava un
imbuto che faceva La funzione di vaso di colmatura: siamo di fronte ad una fermentazione che
segue, a grandi linee, la tecnica adottata oggi per la fermentazione di un vino bianco in barrique.
Qui, però, applicata ad un rosso. I profumi si fondono con il legno, Le temperature, nella botte, non
salgono mai troppo e l’affinamento conferisce al vino stesso una ricchezza ed una pienezza di
grande interesse, oltre a facilitare la chiarifica. In tutto ciò, va osservato, i travasi sono fondamentali
per l’equilibrio olfattivo del vino, ameno secondo i gusti di oggi. Bertoli lo lasciava riposare per tre
anni in botte (un po’ tanti per un rosso leggero, ottenuto con una brevissima macerazione). E senza
travasi? pare proprio di sì. Noi non conosciamo (anche se possiamo immaginarli) quali erano i
parametri per sapere fin dove un profumo restava tale e da che punto si trasformava, per i
consumatori del Settecento, in puzza. (La tecnica di vinificazione che sarà propria dell’Asquini, che
pur si era ispirato al lavoro del Bertoli, rappresenterà una netta evoluzione verso uno stile molto più
curato e raffinato). Sta di fatto che il vino che Bertoli ottenne fu giudicato ottimo tanto che,
presentate sull’agguerrito e sofisticato mercato di Venezia alcune sue bottiglie, vennero vendute e
scambiate per francesi. “Ma sarrebbe stata bella, scrive il Bertoli, se uno all’ora avesse detto:
avvertite Signori, che il Vino, che avete comprato, e che lo trovate essere il migliore Vino di
Borgogna, non è altrimenti Vino di Borgogna, ma è Vino del Friuli; aveste sentito sgridare come se
lor fusse corso il lupo addosso”. Giovanni Bottari, agronomo, non propose un vigneto
all’avanguardia come il Bertoli, bensì cercò di correggere la piantata friulana affinché si potessero
ottenere più foglie dai gelsi, a cui erano maritate le viti, ed atto stesso tempo maggior quantità di
uva. Bottari operava nella Bassa friulana, a San Michele di Latisana, dove il vino “di tutto quel
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paese che lungo il mare si estende, sul cadere del passato secolo teneasi per infame e di pessima
qualità” divenne, intervenendo sulla scelta dette uve, sulla sistemazione dei vigneti ed in cantina
“se non eccellente, certo migliore d’assai a quello di prima”. I mercati a cui quei vini erano
destinati non erano gli stessi, molto sofisticati, del Picolit dell’Asquini, ma si rivolgevano a quelli
popolari di Trieste e Venezia.
Con i contratti agrari in essere era chiaro a Bottari che la coltura promiscua non poteva essere
abbandonata: vino e seta erano i prodotti più importanti e diffusi del Friuli e nessun agricoltore vi
avrebbe rinunciato. Quindi era necessario tentare di migliorare la convivenza del gelso con la vite
attraverso degli accorgimenti che sfoltissero, innanzitutto, il numero di viti per tutore (da otto a
due); che rendessero più controllabili i tralci, che si riducevano a tre soltanto evitando atto stesso
tempo di far arrampicare i futuri capi a frutto sui rami dei gelsi, al fine di far produrre a questi
ultimi una maggior quantità di foglia. I risultati furono immediati, tanto che il conte Gherardo
Freschi, agronomo nonché fondatore e presidente dell’Associazione agraria friulana, affermava che
gli agricoltori del Friuli consideravano Bottari un loro maestro. L’abate Gottardo Canciani, con la
sua Memoria netta quale si analizzano i vari problemi dell’agricoltura friulana, scritto net 1773, si
occupa di vino alla lezione XIV del suo testo. Canciani, contrario per ragioni morali agli eccessi di
alcol, giustificherà il suo intervento sul vino solo per quello destinato all’esportazione, escludendo il
vino ordinario, convinto così di aver messo in pace la sua coscienza. “Per tali ragioni se in questa
lezione io tratto detta qualità, e della quantità dei nostri vini, sempre te mie riflessioni si dovranno
intendere col rapporto, che essi hanno al commercio fuori Provincia”. Per recuperare qualità,
Canciani propone interventi di natura enologica, tra i quali ci paiono interessanti e tutt’ora attuati, la
raccomandazione di raccogliere le uve mature il più possibile e di spremerle appena raccolte; di
separare le uve nere dalle bianche; di travasare quindi prima della primavera facendo attenzione che
te botti siano sempre colme. Consigli elementari, si dirà. Ma anche fondamentali per ottenere un
buon vino.
Con la Dieta di Worms (1521) e gli accordi di Venezia (1523) Si sancisce la divisione del Friuli in
due zone di influenza: quella occidentale sotto Venezia e quella orientale con Gorizia, Gradisca,
Cormons e Aquileia sotto l’Impero. Divisione che resterà, salvo brevi periodi di interferenze
reciproche e dei francesi, fino al 1918. La Contea di Gorizia aveva nella Carinzia e nella Carniola
(l’attuale Slovenia) i loro mercati principali per l’esportazione del vino. Ne bevevano tanto, oltre le
Alpi, che nel 1527 dovettero fondare, in Stiria, una società, sotto la protezione di San Cristoforo,
che stabilisse le regole al fine di arginare il fenomeno della ubriachezza e delle bestemmie. Tra
Venezia e Vienna, però, nonostante la pace, le liti continuavano. Soprattutto con i dazi. Inoltre,
Venezia era favorita rispetto alla Contea di Gorizia in quanto aveva il possesso delle vie di
comunicazione attraverso Pontebba e Tarvisio: vi esportava i propri vini, importando lino e ferro
che vendeva poi in Friuli. Ciò mise fuori gioco le esportazioni del goriziano. L’unica soluzione era,
per questi ultimi, aprire un collegamento diretto con l’Impero senza passare sui territori veneziani.
Progetto realizzato nel 1576 da Carlo d’Asburgo che, passando per Canale e Plezzo, permise di
arrivare a Tarvisio e quindi di servire la Carinzia e la Carniola con i propri vini importando allo
stesso tempo lino e ferro. I mercati a cui il vino friulano si rivolgeva in questo periodo
continuavano, quindi, ad essere quelli di lingua tedesca e slava. Che ricevettero ulteriore impulso
agli inizi del Settecento quando la politica imperiale si orientò verso i due principali sbocchi
marittimi che dichiarò porti franchi: Fiume nel 1717 e Trieste nel 1718. La libertà dei traffici sarà
resa possibile grazie a Maria Teresa che nel 1765 stabilì il libero commercio negli Stati austriaci. I
mercati del Centro Europa avevano esigenze completamente diverse da quello locale, che chiedeva
vino rosso molto intenso e asciutto, al contrario degli altri che preferivano vini bianchi amabili e
dolci. Erano due mondi, due civiltà, due culture del vino a confronto: il consumatore dell’Europa
centrale viveva il vino come bene di lusso ed in esso desiderava trovare il simbolo del paese di
provenienza, il sole: il vino bianco dorato, dolce, carico di sensazioni olfattive mediterranee lo
trasportava in quell’ambiente che sognava. Per i friulani, invece, il vino significava fatica e sudore
(“vin sudàt un an par falu, vin cirùt di falu bon” recita la villotta friulana: abbiamo sudato un anno
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per farlo, abbiamo tentato di farlo buono); era bevanda quotidiana, alimento che sopperiva a calorie
che da sempre mancavano; il vino rosso - “neri” in friulano – faceva buon sangue e quindi più era
intenso, scuro e di conseguenza aspro e tannico e più dava la sensazione facesse bene. La tradizione
dei bianchi friulani nasce proprio su queste colline, innescata da precise esigenze di mercato e
giungerà fino a noi. Erano Tocai esuberanti, ricchi di profumi di fiori di campo; ampi, molto
avvolgenti e con una sensazione ammandorlata personalissima.
Le zone di produzione tra bianchi e rossi erano nettamente individuabili: le colline (che oggi vanno
a formare i Colli orientali ed il Collio) producevano i bianchi in quanto meglio collegate al bacino
di utenza dei loro clienti. La pianura era piantata a uve rosse, il cui vino era destinato al mercato
locale che poi, alla fine, significava un vino unico, il “nostran”, il nostrano, ottenuto da un
miscuglio di varietà tra le quali prevaleva il Refosco, coltivato su tutto il Friuli. La pianura
considerata in grado di dare vini di qualità era allora grosso modo quella di oggi. In un documento
del 1718, presso l’Archivio di Stato di Udine, la Bassa vinicola era rappresentata da “le ville che
fanno vini fra la città di Udine et fortezza di Palma, di là del Tagliamento, territorio di Monfalcone,
le altre ville basse verso il fiume Stella”. Quando si produceva Refosco in collina, lo si otteneva
amabile per andare incontro ai gusti tedeschi, il che spiega come ancor oggi, soprattutto sulle
colline di Nimis e Savorgnano del Torre ci sia la tradizione dei Refoschi passiti e dolci. Quindi: i
vini bianchi avevano un loro mercato preciso e che “tirava”: non avevano nessun bisogno di
interventi. Invece le preoccupazioni non mancavano per i rossi che, come ci testimoniò il Candani,
erano completamente lontani dai gusti che stavano imponendo soprattutto i francesi. Un attento e
perspicace oste di Udine, Domenico Pletti (scrisse, nel 1845, una Memoria sui vini friulani) ci
conferma quanto appena detto: i soldati francesi, al seguito delle guerre napoleoniche, così gli si
rivolgevano: “Monsieur Pletti, Donnez moi du vin roux; pas noir”.
Pietro di Maniago, quando compilò il “Catalogo delle varietà delle viti del Regno Veneto” del 1823,
dal quale è stato poi possibile individuare quelle coltivate in Friuli, che risultarono essere 127, “ne
avrebbe potuto raccogliere duemila senza difficoltà, ma sarebbe stata questa inutile fatica”. Mentre
sul Bullettino dell’Associazione Agraria Friulana del 1921 l’elenco delle varietà coltivate in Friuli
nel 1863 comprendeva ben 357 vitigni diversi. L’Acerbi, invece, nel 1825 ne catalogava molte di
meno di “viti friulane dè contorni di Udine”: 26. Era quindi ovvio che fosse necessario sfrondare
questa esagerata moltitudine di viti, eliminando quelle di minor pregio. Ma già si annunciava alle
porte il più terribile cataclisma che la storia della viticoltura europea ricordi: la comparsa dell’oidio
prima, della fillossera subito dopo ed infine della peronospora. L’oidio venne per la prima volta
individuato verso il 1840 in Inghilterra dal giardiniere di John Slater di Margate, certo Mr. Thuker.
In Italia, secondo Dalmasso, arrivò nel 1879, mentre in Friuli venne individuata per la prima volta,
afferma Gaetano Perusini, solo il 28 giugno del 1901 in un orto di Castions di Strada. Ma nei
vigneti del goriziano sappiamo che fu scoperta nel 1888. Però già nel 1874 l’allarme venne dato
nella Contea di Gorizia e Gradisca, quando si constatò il fallimento di tutti i tentativi effettuati
nell’area attigua alta Scuola di viticoltura di Klosterneuburg, nei pressi di Vienna, per fermare e
distruggere l’infezione. Comunque è molto probabile che la fillossera si fosse intrufolata nei nostri
vigneti motti anni prima. In proposito ci sono dei dati di produzione del vino nel Friuli riferiti al
1841, quando si ottennero 167.565 hl e quelli del 1862 pari soltanto a 14.259 hl; il vistosissimo calo
viene interpretato da studiosi friulani come l’effetto della fillossera. La peronospora venne scoperta,
per la prima volta, nel 1881 nelle vicinanze di Gorizia dove, nel 1852, la produzione era di poco
superiore ai 100.000 ettolitri, metà dei quali di Rabiolo, Cividino e altri bianchi ora scomparsi.
Con il XIX secolo arrivarono in Friuli le prime viti di Pinot grigio, bianco, nero, Merlot e
Sauvignon grazie al Conte De La Tour che aveva sposato la nobile proprietaria di Villa Russiz a
Capriva del Friuli, varietà che poi si diffusero in tutto il Friuli contemporaneamente alla
ricostruzione post-filosserica, prima della quale si arrivò a una base ampelografica che sfiorava le
trecento varietà.
Nel 1939 arriva il contributo di Guido Poggi che pubblica l’Atlante Ampelografico dove recupera
tutte le varietà autoctone di maggior pregio. In 65 tavole, che illustrano tralci, foglie e grappoli,
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corredate da una descrizione storica del vitigno e da un’analisi dei vini che producono, Poggi riporta
in parità la storia con la tradizione, il passato con il presente nella speranza che il futuro proponga
tempi migliori. Ma l’immediato futuro sarà la Seconda Guerra Mondiale che di certo non aiuterà
l’economia friulana, come quella di quasi tutte le regioni italiane. A Conegliano, presso la Stazione
Sperimentate, erano stati impostati, tra il ‘25 ed il ‘32, vigneti sperimentali che avevano subìto,
anch’essi, i rallentamenti imposti dagli eventi bellici. Ne troviamo 11 in provincia di Udine e 14 in
quella di Gorizia. Nei vigneti della provincia di Udine le varietà in prova erano, tra i bianchi:
Prosecco, Traminer, Riesling italico, Trebbiano toscano, Tocai friulano, Pinot bianco, Pinot grigio,
Verduzzo friulano e Picolit. Fra i rossi: Cabernet franc e sauvignon, Barbera, Merlot, Refosco dal
peduncolo rosso, Refosco di Faedis, Raboso veronese e Marzemino. In provincia di Gorizia, tra i
bianchi, ci sono Veltliner, Malvasia istriana, Riesling italico, Pinot bianco e grigio, Sauvignon,
Traminer, Semillion, Moscato bianco, Moscato rosa, Riesling renano, Ribolla gialla, Sylvaner,
Trebbiano toscano, Prosecco, Garganega. Tra i rossi: Terrano, Barbera, Cabernet franc e sauvignon,
Franconia, Gamay, Marzemino, Pinot nero, Pica nera. Come si potrà osservare, La viticoltura
storica del Friuli era rappresentata, ormai, solo da Picolit, Verduzzo, Ribolla gialla e dai Refoschi.
Non ci si poteva quindi aspettare che, alla fine degli anni ‘50, accanto alla decisiva presenza nei
nostri vigneti di viti francesi e tedesche, le varietà autoctone venissero salvate. Infatti in un ulteriore
indirizzo per la scelta varietale in Friuli, Cosmo “recupera” solo la Ribolla a Gorizia, il Refosco sul
Carso, Verduzzo e Picolit, col Refosco, a Udine. Il vigneto continuava ad essere per la maggior
parte promiscuo e la politica del fascismo aveva incentivato l’aumento della coltivazione degli
ibridi produttori diretti, che non avevano necessità di trattamenti a base di rame e zolfo, che
dovevano esser destinati alla guerra. Ma a Casarsa, e non solo lì, per procurarsi un po’ di rame e
difendere dalle crittogame con il solfato le buone e preziose viti rimaste di Merlot e Refosco, i
contadini consumarono tutto il loro patrimonio di antichi secchi di rame. Il vino, soprattutto rosso,
era ancora il “nostran” di antica memoria che era composto da un po’ di Refosco e per la maggior
parte da ibridi quali il Clinto, il Baco evvia dicendo, che avevano sostituito la moltitudine di varietà
che nei secoli si erano accumulate nei vigneti.
Dal 1950 al 1979 il vigneto specializzato passa dal 27% al 93% (22.235 ettari contro 1.550 di vigne
promiscue). Questo salto di qualità, reso possibile da tutta una serie di fattori si trova anche nello
sviluppo del vivaismo in Friuli uno dei momenti più importanti e significativi. La tragedia della
fillossera metterà in evidenza le diversità di strutture pubbliche esistenti tra il Friuli diventato
italiano e quello ancora austriaco. Naturalmente a favore di quest’ultimo. Pur essendo in tutt’Europa
impotenti, nei primi anni, di fronte a tale flagello, la Contea di Gorizia e Gradisca aveva a
disposizione una Stazione sperimentale di viticoltura di altissimo livello: quella di Klosterneuburg,
nelle vicinanze di Vienna, fondata nel 1860 ed il cui primo direttore fu il barone von Babo.
(Conegliano sarebbe sorta nel 1923 mentre Parenzo, in Istria, nel 1931). La borghesia aveva avuto
un diverso sviluppo di quello del Friuli occidentale ed anche la classe nobile era, dal punto di vista
economico, molto più preparata ad affrontare le nuove situazioni che si stavano delineando. Non
appena dalla Francia giunsero le prime notizie dei timidi successi sulla fillossera con gli innesti su
legno americano, la deputazione centrale della Società Agraria goriziana chiese al governo
austriaco, già il 1° aprile del 1881, lo stanziamento di 2.000 fiorini per istituire un vivaio di viti
americane resistenti alla fillossera. L’Agro aquileiese gode di un clima molto mite ed ha terreni
morbidi e sabbiosi che sono ideali per il vivaismo. Ai primi del ‘900 (esattamente nel 1902) risale la
creazione di un “Vivaio erariale” di piante madri (legno americano) nei pressi di Monfalcone che
produceva 780.000 talee di Rupestris Monticola, cui seguì un nuovo impianto che portò la
produzione a 1.500.0000 di viti americane. A S. Rocco, presso Gorizia, funzionava un vivaio
provinciale. Ma fin dal 1889 le autorità austriache incoraggiarono la produzione di piante madri ed
a tale epoca risalgono le prime barbatelle di York Madeira di Augusto Burba di Campolongo. Uno
dei maggiori produttori di viti americane fu il barone Ritter de Zahoni di Monastero, nei pressi di
Aquileia: aveva intuito lo sviluppo che il mercato delle piante madri avrebbe avuto e fin da 1890
poteva fornire 150.000 talee. La Grande Guerra sommò poi le sue disgrazie a quella della fillossera.
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Fu dopo il 1920 che tedeschi e austriaci scoprirono il potenziale che l’Agro aquileiese possedeva.
Nei loro climi le viti americane facevano fatica a maturare. Portate invece nella zona di Aquileia, i
risultati erano ben diversi. Furono quindi alcuni pionieri che, sotto il controllo delle grandi scuole
tedesche e austriache, iniziarono a costruire quello che poi sarebbe diventato il vivaio più grande ed
importante del mondo. Giovanni Battista Toppani, vivaista in quel di Ruda, fu il primo ad importare
in Italia, con la sua azienda Toppani-Cetta, il Kober 5BB. Seguito dallo stesso prof. Kober dopo il
1934 Bruno Busetti, che si era diplomato all’Istituto di Klosterneuburg, aprì un ufficio commerciale
a Gorizia, mettendo in moto tutta una serie di collegamenti che avrebbero proiettato i vivaisti
friulani sui mercati di tutta l’Europa del Nord. Negli anni ‘80, accanto a Toppani, erano arrivati altri
vivaisti, come i Cosoto ed i Pinat. Net 1953 sorge il Consorzio Aquileia vivai, che raggruppa i
vivaisti della zona che poi, nel 1965, si trasformerà nel Consorzio Tullio, presieduto dal senatore
Tullio Altan. Quando il consorzio nasce si esportavano annualmente in Germania dai 25 ai 30
milioni di talee di portainnesto, coltivate su oltre 250 ettari, le cui piante erano, ceppo per ceppo,
catalogate e numerate. Inoltre, tutto il vivaio era dotato di reti antigrandine: era pura avanguardia.
Un fatto è assodato: la nuova viticoltura del Nord-Europa, che come noi si stava leccando le ferite
della fillossera e si stava conseguentemente rinnovando, poggia su radici friulane. Oltre il
Tagliamento il seme per la nascita del secondo polo vivaistico era stato gettato nel 1920, quando la
Cattedra Ambulante di Pordenone aveva promosso la costituzione del Vivaio cooperativo di Ronche
di Fontanafredda, allo scopo di preparare le viti che sarebbero servite al ripopolamento dei vigneti
friulani. Il 4 settembre del 1936 si costituiscono i Vivai cooperativi di Rauscedo e con loro si aprirà
un nuovo, importante capitolo del vivaismo. Rauscedo, infatti, divenne protagonista sulla scena
italiana e poi mondiale a partire dagli anni Sessanta quando intuì l’enorme mercato che si stava
aprendo per le barbatelle innestate con la loro moltitudine di cloni. Seppe occupare gli spazi di
mercato che gli si offrivano nell’Italia Centrale e del Sud, dove il rinnovamento viticolo era ancora
in gran parte da fare.
Arrivando ai giorni nostri, per quanto riguarda i vini bianchi, la produzione delle uve avviene dopo
un’accurata selezione in cui sono sottoposte a pigiatura soffice e a fermentazione a temperatura
controllata in assenza delle bucce proprio per esaltare i profumi tipici conferiti dai vitigni. Per le
partite destinate a un più lungo affinamento in legno oppure in bottiglia prima dell’immissione al
consumo, la vinificazione ottempera un contatto più o meno breve con le bucce, i vini che ne
seguono risultano quindi più carichi di sostanze coloranti.
Per quanto riguarda invece i vini rossi, il contatto con le bucce è fondamentale per l’estrazione della
frazione polifenolica più importante per le caratteristiche dei rossi, il passaggio in legno è
facoltativo, però ancora in parte utilizzato, si impiega anche una sapiente diversificazione delle
partite al fine di ottenere un risultato finale il più equilibrato possibile, in tal caso è possibile che le
tipologie che ne fanno uso possano presentare un caratteristico sentore di legno.
Per quanto concerne l’aspetto strettamente tecnico e produttivo si sottolineano inoltre i seguenti
fattori: - base ampelografica dei vigneti: i vitigni idonei alla produzione del vino in questione sono
quelli tradizionalmente coltivati nell’area di produzione e dei quali è consentita la
coltivazione nelle diverse unità amministrative. In particolare, sono state escluse dal
presente Disciplinare le varietà che caratterizzano fortemente delle zone geografiche
piccole, soprattutto autoctone, preferendo l’inserimento dei vitigni maggiormente diffusi
anche commercialmente; - forme di allevamento: sono quelle tradizionali della zona: forme a spalliera verticale (Guyot,
cordone speronato, ecc.); l’adozione della forma di allevamento è effettuata sia in base alla
giacitura del terreno ed all’esigenza di agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia
all’obiettivo enologico che il produttore intende perseguire;
21 - pratiche relative all’elaborazione dei vini: sono quelle tradizionalmente praticate in zona per
la produzione di vini bianchi, rosati e rossi anche delle tipologie spumante. Tali pratiche
rientrano nelle correnti pratiche enologiche previste e disciplinate dal Reg. Ce n. 606/2009.
B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o
esclusivamente attribuibili all'ambiente geografico.
Categoria vino:
I vini di cui al presente disciplinare di produzione presentano, dal punto di vista analitico ed
organolettico, caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6, tali da permetterne
una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico. In particolare, tutti i vini
bianchi e rossi presentano caratteristiche chimico-fisiche equilibrate in tutte le tipologie, mentre al
sapore e all’odore si riscontrano aromi prevalenti tipici dei vitigni.
La denominazione “Friuli” annovera ventuno tipologie di vini, quattordici tipologie di vini bianchi
di cui dieci con indicazione di vitigno più il “bianco” e lo “spumante” e sette tipologie di vini rossi
con sei ad indicazione del vitigno più il “rosso”.
Non è prevista la menzione riserva per nessuna tipologia.
I vini della DOC “Friuli”, presentano delle peculiari caratteristiche che sono attribuibili per la
maggior parte al territorio inteso come ambiente pedoclimatico mentre l’intervento umano è
responsabile del resto.
Ciascuna tipologia è descritta da un punto di vista analitico ed organolettico nell’articolo 6, in
questo articolo però non vengono riportati quei valori limite relativi al titolo alcolometrico totale
massimo (in % vol), al titolo alcolometrico effettivo minimo (in % vol), all'acidità volatile massima
(in milliequivalenti per litro) e al tenore massimo di anidride solforosa totale (in milligrammi per
litro) come richiesto dall’art.26 del Regolamento CE n.607/2009, questi valori non sono stati
indicati perché non riportano valori differenti a quelli stabiliti da suddetto Regolamento.
Per quanto riguarda l’acidità totale, espressa come acido tartarico, in base alla normativa
comunitaria non può essere inferiore al 3,5 g/L, ma nell’art.6 per tutte le varietà̀ è stato fissato il
limite minimo di 4,0 g/L. Relativamente all’acidità volatile, espressa in acido acetico, questa, in
base alla normativa comunitaria, non può essere superiore rispettivamente a 18 milliequivaleni per
litro per i vini bianchi e a 20 milliequivalenti per litro per i vini rossi
Il territorio della DOC “Friuli” conferisce ai vini bianchi un colore giallo paglierino con riflessi più
o meno verdognoli o dorati oppure, nel caso del Pinot grigio è ammesso anche un riflesso ramato
più o meno intenso. A livello gustativo la sensazione è gradevole, morbida, con profumi netti ed
intensi che spaziano dal fruttato sostenuto al floreale fine ed elegante, l’equilibrio ed il corpo del
vino rappresentano un marchio di fabbrica dei vini della DOC “Friuli” con una struttura che ne
permette anche un lungo invecchiamento nel tempo.
I vini rossi sono caratterizzati da un colore rosso rubino con diverse sfumature, il profumo è
ammaliante e spicca per la gradevole finezza tendente all’erbaceo, a volte fruttato, allo speziato e
dal caratteristico “bouquet”, molto asciutti con una tipica corposità.
In bocca l’equilibrio è presente e molto importante, con una nota di astringenza presente in
particolare per le varietà più vocate al lungo e lunghissimo invecchiamento, l’acidità è quindi
sempre presente senza mai disturbare al palato.
Le caratteristiche di questi vini sono determinate dall’influenza delle condizioni pedoclimatiche
dell’areale di produzione, la cui interazione tra i terreni ben drenati con disponibilità idrica ed il
clima temperato, fresco e ventilato, interagiscono con le importanti escursioni termiche tra il giorno
e la notte durante tutta la fase di maturazione delle uve, in particolare quella che va dall’invaiatura
alla vendemmia, il che permette di garantire un’ottimale maturazione dei grappoli che garantiscono
all’uva sia un adeguato tenore zuccherino, unitamente alle altre caratteristiche qualitative ed
organolettiche proprie delle varietà di viti coltivate nell’areale.
Categoria vino spumante.
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I vini della DOC “Friuli” nella categoria “vino spumante”, presentano delle acidità totali più
marcate rispetto alle altre categorie, infatti il limite minimo è pari a 5,0 g/L, espresso come acido
tartarico. Il territorio della denominazione conferisce a questi spumanti un colore giallo paglierino
con diverse intensità, talvolta si possono raggiungere anche delle sfumature dorate. All’olfatto i
sentori sono ampi e delicati, si possono trovare delle note floreali e fruttate nel caso della Ribolla
gialla spumante ma sicuramente è molto spesso presente una intrigante nota di lievito data dalla
rifermentazione in autoclave o bottiglia a seconda della tipologia tecnica prescelta.
In bocca l’equilibrio di questi vini predomina su tutto il resto e viene spesso esaltato dalle
caratteristiche note acidiche che ne rendono facilmente riconoscibili i vitigni utilizzati per la
produzione. Si possono presentare inoltre in diversi tipi in relazione al tenore zuccherino che nelle
categorie “vino spumante” variano dal “pas dosè” (dosaggio zero) all’”extra dry”.
C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla
lettera B).
Categoria vino.
L’interazione dei fattori ambientali e pedoclimatici descritti alla lettera A) con il fattore umano di
cui alla lettera B) si realizzano nei vini della DOC “Friuli” o “Friuli Venezia Giulia” consentendone
la migliore espressione e contribuendo sostanzialmente all’ottenimento di vini sia bianchi che rossi,
particolarmente ricchi e dai profumi fini, adatti anche al medio-lungo affinamento e molto eleganti.
Infatti, la pratica della viticoltura ha influito profondamente sull'aspetto del paesaggio della zona
DOC “Friuli” o “Friuli Venezia Giulia”, oltre che sul livello economico e di sviluppo globale del
territorio. Il legame causale tra il luogo ed il prodotto è essenzialmente rappresentato dall’influenza
delle condizioni ambientali e naturali della zona di produzione, sulle caratteristiche qualitative delle
uve e dei vini derivati.
La millenaria storia vitivinicola della Regione Friuli-Venezia Giulia è la fondamentale prova della
stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e la qualità e le peculiari
caratteristiche del vino “Friuli” o “Friuli Venezia Giulia”. La viticoltura locale vanta una storia
antica e ricca, attestata da numerosi documenti e testimonianze, le sue origini risalgono quanto
meno alla colonizzazione romana. Dall’Impero Romano ad oggi queste terre sono state
caratterizzate dalla produzione del vino, anche se tra alterne vicende storiche e umane. Infatti, la
viticoltura locale è passata attraverso due millenni di storia senza grossi mutamenti fino all’inizio
del XX secolo, quando ha subito un grosso cambiamento. Le ragioni di ciò sono riconducibili a un
complesso insieme di cause e situazioni. Infatti, dalla metà del XIX secolo fino ai primi del XX
secolo l’oidio, la peronospora, la fillossera e non ultimi i conflitti bellici, provocarono distruzioni
tali da costringere l’intera viticoltura a cambiare volto. Altro fattore di forte espansione fu la
conquista alla coltivazione della vite di nuovi terreni grazie alle opere di irrigazione realizzate in
vaste aree.
Gli aspetti morfologici, geologici, pedologici e climatici condizionano i sistemi di agricoltura nel
loro complesso di elementi biologici e strutturali. L'analisi di tali aspetti diviene prioritaria nello
studio del comprensorio del Friuli Venezia Giulia dove, una determinata pratica colturale, la
viticoltura, ha assunto un ruolo determinante nel ridisegnare l'assetto ambientale di un'ampia fascia
di territorio.
La chiara vocazione viticola dei terreni ubicati tra le colline orientali che confinano con la Slovenia
e la pianura friulana, e la professionalità dei viticoltori hanno così consentito alla regione Friuli
Venezia Giulia di crescere in modo inequivocabile, ponendosi al vertice della produzione nazionale
di qualità, sebbene producendo meno del 2,5% in volume.
Questo risultato è stato reso possibile grazie alla concomitanza di vari fattori: la razionalità dei
nuovi impianti secondo le più moderne tecniche colturali, la selezione dei vitigni più adatti
all’ambiente di coltivazione ma soprattutto la lungimiranza di molti produttori che hanno puntato
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principalmente sulla qualità, valorizzando la loro produzione e contribuendo a diffonderne la
conoscenza.
Per quanto riguarda i siti della pianura della denominazione “Friuli” è possibile dividerla tra est e
ovest, a ovest il clima è tra i più caldi e di giorno il riscaldamento dovuto ai raggi solari è molto
efficace per la scarsità di nebbie, ci sono buone escursioni termiche prevendemmiali e l’areale
permette ottime qualità sia per i bianchi che per i rossi. I bianchi hanno caratteri varietali ben
espressi, buone acidità e alcolicità, corpo snello ma armonico. Sono vini che giocano sulla
freschezza e la fragranza, ma che hanno buona componente acidica. Chardonnay e Pinot grigio sono
piacevoli e traggono i benefici dall’influsso del terreno e del clima, il Friulano è un vitigno che è
molto coltivato e trae risultati molto soddisfacenti con una notevole eleganza. In questa zona
spiccano i Sauvignon, molto equilibrati, dal colore giallo paglierino talvolta con riflessi verdognoli
dai toni verdi caratteristici sentori al naso e di notevole struttura. Il Pinot bianco della pianura
friulana è fragrante, raffinato e di ottima stoffa, infatti l’influsso del terreno sciolto ne accentua le
caratteristiche aromatiche.
La pianura a est si caratterizza per un terreno del tipo ferretto o assimilabili ad esso, quindi c’è una
prevalenza di ghiaia ricoperta o mista ad uno strato di materiale terroso alterato di spessore dai 30 ai
70 cm. Queste zone sono vocate per i vini bianchi che hanno buona acidità, freschezza e netta
personalità varietale, oltre al Friulano, Chardonnay e Pinot grigio questa pianura vanta una
Malvasia dal profumo delicatamente aromatico con note floreali e fruttate tipiche del vitigno e dal
grande fascino. Non vanno dimenticati i rossi in questa zona, infatti i Cabernet franc e sauvignon, il
Merlot e il Refosco, hanno un colore intenso quasi sanguigno, che si fanno, con rese contenute,
molto ampi, profondi, dai tannini ben presenti ma dolci, in definitiva, dei vini di stoffa e di razza,
che possono sostenere un buon affinamento in barrique per vini di sicuro invecchiamento, con una
caratteristica aromatica data dalla ricchezza di sensazioni fruttate.
La collina friulana si caratterizza a est per una prevalenza nei terreni delle marne eoceniche miste ad
arenaria, che costituiscono il cosiddetto “Flysch di Cormòns”. In queste zone l’allevamento della
vite è perlopiù il doppio capovolto, I terrazzamenti sono fitti e la viticoltura è impostata con il
Guyot ad alta densità per ettaro. I vini ne traggono benefici avendo stoffa e ricchezza, con un
grande carattere e suadenza. Il Friulano può diventare a volte opulento data la naturale pienezza e
struttura. Il Pinot bianco ha un forte temperamento, è sapido, ampio ed avvolgente, sicuramente la
Malvasia è intensa come pure il Merlot e i Cabernet, franc e sauvignon, che raggiungono una
maturazione perfetta con vini dominati dai tannini dolci e sensazioni di frutta di sottobosco con
sfumature erbacee e un’eccelsa potenza di gusto e di olfatto In queste zone i vini rossi sono vissuti
in due maniere tra loro antitetiche: per un consumo rapido e quindi con vini che hanno nella facile
beva e nelle sensazioni fruttate, avvolte da un colore rubino brillante il loro fascino, oppure con la
volontà di ottenere grandi vini da invecchiamento affinati in barrique, che riesce a conferire ai rossi
una sensazione di pienezza e profondità diventando capaci di una lunga vita per soddisfare anche i
palati più esigenti in grado di sviluppare bouquets complessi e seducenti.
A nord-est la Collina friulana è in grado di esprimere vini di grande personalità, con un elevato
spessore, ricchi e carnosi. La Ribolla gialla è raffinata ed elegante, di non elevata alcolicità, fresca e
purtuttavia ben articolata con un invitante scorrevolezza di beva. Il Verduzzo friulano di queste
zone è pieno, molto strutturato, quasi vellutato, il colore è intenso quasi dorato, la potenzialità
d’invecchiamento è elevatissima, infatti l’interazione del clima con il terreno, unita all’esperienza
dei vignaioli ne fanno un marchio di garanzia.
Le colline a nord e ad ovest della denominazione si caratterizzano per essere a ridosso delle Prealpi
carniche e sulle correnti provocate dal Meduna e dal Cellina. In queste zone ci sono inverni e
primavere fredde, quindi, il germogliamento e la raccolta sono tardive (anche di 10 giorni rispetto
alle zone di pianura appena sottostanti) ci sono forti escursioni termiche prevendemmiali (14,15 °C)
e notevole ventilazione, che rendono quest’area vocata ai vini bianchi, che hanno un carattere
spiccato, ottime acidità e di pronta beva. Su tutti emerge il tipico profumo del Sauvignon, che qui
trova uno dei siti più affascinanti e personali di tutto il Friuli. Queste zone influiscono anche sullo
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Chardonnay e sul Pinot grigio che sono schietti e piacevoli con note fragranti e fresche con sentori
floreali e fruttati.
Tali condizioni rappresentano peraltro il presupposto su cui si basa la delimitazione della zona
viticola comunitaria (CI-b), definita nell’appendice all’Allegato XI ter del Reg Ce 1234/07,
all’interno della quale ricade la zona di produzione dei vini in questione.
Tuttavia, il territorio della DOC “Friuli”, pur legato alla tradizione, ha perseguito l’innovazione
tecnologica sia in vigneto che in cantina come pure un costante miglioramento tecnico negli ultimi
30 anni, consentendo ulteriori progressi dal punto di vista qualitativo. Tra i principali possiamo
indicare:
• il contenimento delle produzioni anche attraverso la pratica del diradamento in vigneto, e la
raccolta dell’uva solo al raggiungimento del migliore equilibrio aromatico e fenolico;
• il condizionamento termico dei locali di lavorazione e dei vasi vinari per meglio governare i vari
processi chimico-fisici;
• la selezione delle forme di allevamento a spalliera verticale più idonee alla viticoltura di qualità;
• la salvaguardia dei biotipi di vigneti antichi, salvando le vecchie varietà ed utilizzando la selezione
massale al posto della selezione clonale;
• il miglioramento ed il rinnovo dei vasi vinari con largo utilizzo dell’acciaio inox, che garantisce
superfici più facilmente lavabili, nelle prime fasi della vinificazione, e di botti e barriques per
l’affinamento, con diversità stilistiche tra i vari produttori quanto a scelta di legni, volumi e numero
di passaggi ma sempre cercando un buon equilibrio finale.
Pertanto, le peculiari caratteristiche qualitative dei vini DOC “Friuli” sono dovute all’interazione
dell’ambiente naturale con i fattori umani di tradizione e conoscenza nei processi di coltivazione,
vinificazione ed affinamento. In particolare, i produttori hanno perseguito delle scelte altamente
qualitative per la produzione delle uve (controllo delle rese, innovamento tecnologico) e per
l’elaborazione dei vini DOC “Friuli”, limitando o anche spesso rinunciando all’utilizzo della pratica
dell’arricchimento.
In conclusione, le peculiarità di questa zona di produzione, unite al sapere tramandato tra i vignaioli
di generazione in generazione ed all’accurato intervento dell’uomo sia in vigneto che in cantina,
consentono al vigneto “Friuli”, di esprimere le sue migliori caratteristiche nelle uve e nel vino che
ne deriva.
Categoria vino spumante.
Le categorie Spumante, nel disciplinare della DOC “Friuli” sono quattro, la Ribolla gialla
spumante, la Ribolla gialla spumante metodo classico, lo Spumante e lo Spumante metodo classico.
L’areale di produzione di questa categoria è il medesimo della categoria vino.
Le varietà ammesse per la costituzione della Ribolla gialla spumante sono la Ribolla gialla in
purezza oppure con il taglio migliorativo del 15% possono concorrere, le uve, mosti e vini di altri
vitigni a bacca di colore analogo, idonei alla coltivazione per le province di Trieste, Gorizia, Udine
e Pordenone ad eccezione dei Moscati, del Muller Thurgau e del Traminer. Per quanto riguarda lo
Spumante e lo Spumante metodo classico, sono ammesse le varietà Chardonnay, Pinot bianco,
Pinot grigio, Pinot nero (vinificato in bianco), da soli o congiuntamente.
La Ribolla gialla è un vitigno che ha trovato nella sua storia millenaria, il miglior adattamento negli
areali di collina in cui può aumentare la propria struttura ed affinare la parte aromatica, per quanto
riguarda la tipologia Spumante, essendo questa categoria caratterizzata dalla rifermentazione in
autoclave oppure in bottiglia viene, solitamente vendemmiata in anticipo rispetto alla categoria vino
fermo, al fine di garantire al prodotto finito una maggiore acidità ed un grado alcolico equilibrato,
proprio per questi motivi la Ribolla spumante riesce trovare delle espressioni qualitative molto
valide in tutti i terreni e climi, sia in quelli di pianura che in quelli di collina.
Le varietà che sono utilizzate per le basi spumante dello Spumante, che sono Chardonnay, Pinot
bianco, Pinot grigio, Pinot nero (vinificato in bianco), hanno trovato nei terreni e nei climi della
DOC “Friuli” un areale particolarmente vocato.
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La pianura riesce ad esprimere le potenzialità aromatiche del Chardonnay e del Pinot bianco,
esaltando l’eleganza degli aromi secondari e terziari in tutte le annate, anche in quelle più calde e
siccitose. La collina è in grado di accentuare il corpo di questi vini, migliorando la concentrazione
degli acidi e dei sali minerali, facendo leggermente innalzare la concentrazione zuccherina assieme
ai precursori aromatici che sono in grado, dopo la fermentazione alcolica di caratterizzare questi
Spumanti per una componente aromatica più complessa e persistente, data anche dagli aromi
secondari sviluppatisi durante la fermentazione che conferiscono complessità e profondità ai vini
Spumanti e Spumanti metodo classico della DOC “Friuli”.
Articolo 10
Riferimenti alla struttura di controllo
- Nome e Indirizzo: CEVIQ s.r.l. - Certificazione Vini E Prodotti Italiani di Qualità.
Via A. Bortolassi, 1
33040 PRADAMANO (UD)
Tel. +039 0432 510619
Fax +039 0432 288595
E- mail: info@ceviq.it - CEVIQ s.r.l. – Certificazioni Vini e prodotti Italiani di Qualità - società per la certificazione delle
qualità e delle produzioni vitivinicole italiane - è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero
delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, ai sensi dell’articolo 64 della legge n.
238/2016, che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare,
conformemente all’articolo 19, par. 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 20 del Reg. UE n.
34/2019, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli (sistematica
ed a campione) nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento),
conformemente al citato articolo 19, par. 1°, 2° capoverso.
In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli,
approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 agosto 2018, pubblicato sulla
Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana in G.U. n. 253 del 30.10.2018.
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