Friuli Doc

Documento

Ministero delle politiche agricole
alimentari e forestali
DIPARTIMENTO DELLE POLITICHE COMPETITIVE,
DELLA QUALITÀ AGROALIMENTARE, DELLA PESCA E DELL’IPPICA
DIREZIONE GENERALE PER LA PROMOZIONE DELLA QUALITÀ AGROALIMENTARE E DELL’IPPICA
UFFICIO PQAI IV
DISCIPLINARE DI PRODUZIONE
DELLA DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA DEI VINI
“FRIULI” O “FRIULI VENEZIA GIULIA” – “FURLANIJA” O
“FURLANIJA JULIJSKA KRAJINA
Decisione di approvazione Pubblicazione
Approvato con Reg. di esecuzione (UE) G.U.U.E. L 379 - 13/11/2020
n.2020/1680 della Commissione del 6/11/2020
Articolo 1
Denominazione e vini

  1. La denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» (in lingua slovena
    «Furlanija» o «Furlanija Julijska krajina») è riservata ai vini che rispondono alle condizioni ed ai
    requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:
    Bianco;
    Spumante (categoria V.S.);
    Spumante Metodo Classico;
    Ribolla gialla Spumante (categoria V.S.);
    Ribolla gialla Spumante metodo classico;
    Chardonnay;
    Friulano;
    Malvasia;
    Pinot bianco o Pinot blanc;
    Pinot grigio o Pinot gris;
    Riesling;
    Sauvignon o Sauvignon Blanc;
    Traminer aromatico;
    Verduzzo friulano;
    Cabernet;
    Cabernet Franc;
    Cabernet Sauvignon;
    Merlot;
    Pinot nero o Pinot noir;
    Refosco dal peduncolo rosso;
    Rosso.
    1
    Articolo 2
    Base ampeolografica
  2. I vini a denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia», devono essere
    ottenuti dalle uve prodotte da vigneti aventi nell’ambito aziendale la seguente composizione
    ampelografica:
    Bianco:
  • Chardonnay, Friulano, Malvasia istriana, Pinot bianco, Pinot grigio, Riesling, Sauvignon,
    Traminer aromatico, Verduzzo friulano, Ribolla gialla, da soli o congiuntamente;
    Rosso:
  • Cabernet franc, Cabernet Sauvignon, Carmenere, Merlot, Pinot nero, Refosco dal peduncolo rosso,
    da soli o congiuntamente;
    Spumante o Spumante metodo classico:
  • Chardonnay, Pinot bianco, Pinot grigio, Pinot nero (vinificato in bianco), da soli o
    congiuntamente;
    Ribolla gialla Spumante o Ribolla gialla Spumante metodo classico:
  • Ribolla gialla per almeno l'85%; possono concorrere per un massimo del 15% le uve, mosti e vini
    provenienti dai vitigni Pinot bianco e/o Pinot grigio e/o Chardonnay e/o Pinot Nero (vinificato in
    bianco);
  1. I vini a denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia», con la
    specificazione di uno dei seguenti vitigni:
     Chardonnay
     Friulano;
     Malvasia;
     Pinot bianco o Pinot blanc;
     Pinot grigio o Pinot gris;
     Riesling;
     Sauvignon;
     Traminer aromatico;
     Ribolla gialla nella tipologia spumante;
     Verduzzo friulano;
     Cabernet
     Cabernet Franc;
     Cabernet Sauvignon;
     Merlot;
     Pinot nero o Pinot noir;
     Refosco dal peduncolo rosso,
    è riservata ai vini ottenuti da uve di vigneti costituiti dai corrispondenti vitigni ed aventi una
    composizione ampelografica monovarietale minima dell'85% in ambito aziendale. Possono
    concorrere, fino ad un massimo del 15% le uve, mosti e vini di altri vitigni a bacca di colore
    analogo, idonei alla coltivazione per le province di Trieste, Gorizia, Udine e Pordenone ad
    eccezione dei Moscati, del Muller Thurgau e del Traminer.
  2. Nella preparazione del vino Cabernet possono concorrere, disgiuntamente o congiuntamente, le
    uve e i mosti dei vitigni Cabernet franc, Cabernet sauvignon e Carmenere.
    2
    Nella preparazione del vino Riesling possono concorrere, disgiuntamente o congiuntamente, le uve i
    mosti e i vini dei vitigni Riesling italico e Riesling renano.
    Nella preparazione del vino Malvasia devono concorrere le uve, i mosti e i vini del vitigno
    Malvasia istriana.
    Articolo 3
    Zona di produzione delle uve
  3. La zona di produzione delle uve per l’ottenimento dei mosti e dei vini a denominazione di
    origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» comprende l’intero territorio comunale, dei
    seguenti comuni:
    Per la Provincia di Pordenone:
    Arba, Arzene - Valvasone, Aviano, Azzano Decimo, Brugnera, Budoia, Caneva, Casarsa della
    Delizia, Castelnovo del Friuli, Cavasso Nuovo, Chions, Cordenons, Cordovado, Fanna, Fiume
    Veneto, Fontanafredda, Maniago, Meduno, Montereale Valcellina, Morsano al Tagliamento,
    Pasiano di Pordenone, Pinzano al Tagliamento, Polcenigo, Porcia, Pordenone, Prata di Pordenone,
    Pravisdomini, Roveredo in Piano, Sacile, San Giorgio della Richinvelda, San Martino al
    Tagliamento, San Quirino, San Vito al Tagliamento, Sequals, Sesto al Reghena, Spilimbergo,
    Travesio, Vajont, Vivaro, Zoppola.
    Per la Provincia di Gorizia:
    Capriva del Friuli, Cormòns, Doberdò del Lago, Dolegna del Collio, Farra d’Isonzo, Fogliano
    Redipuglia, Gorizia, Gradisca d’Isonzo, Grado, Mariano del Friuli, Medea, Monfalcone, Moraro,
    Mossa, Romans d’Isonzo, Ronchi dei Legionari, Sagrado, San Canzian d’Isonzo, San Floriano del
    Collio, San Lorenzo Isontino, San Pier d’Isonzo, Savogna d’Isonzo, Staranzano, Turriaco, Villesse.
    Per la Provincia di Trieste:
    Duino-Aurisina, Monrupino, Muggia, San Dorligo della Valle, Sgonico, Trieste.
    Per la Provincia di Udine:
    Aiello del Friuli, Aquileia, Artegna, Attimis, Bagnaria Arsa, Basiliano, Bertiolo, Bicinicco, Buia,
    Buttrio, Camino al Tagliamento, Campoformido, Campolongo al Torre, Carlino, Cassacco,
    Castions di Strada, Cervignano del Friuli, Chiopris-Viscone, Cividale del Friuli, Codroipo,
    Colloredo di Monte Albano, Corno di Rosazzo, Coseano, Dignano, Faedis, Fagagna, Fiumicello,
    Flaibano, Gemona del Friuli, Gonars, Latisana, Lestizza, Lignano Sabbiadoro, Magnano in Riviera,
    Majano, Manzano, Marano Lagunare, Martignacco, Mereto di Tomba, Moimacco, Mortegliano,
    Moruzzo, Muzzana del Turgnano, Nimis, Osoppo, Pagnacco, Palazzolo dello Stella, Palmanova,
    Pasian di Prato, Pavia di Udine, Pocenia, Porpetto, Povoletto, Pozzuolo del Friuli, Pradamano,
    Precenicco, Premariacco, Prepotto, Ragogna, Reana del Rojale, Remanzacco, Rive d’Arcano,
    Rivignano-Teor, Ronchis, Ruda, San Daniele del Friuli, San Giorgio di Nogaro, San Giovanni al
    Natisone, San Pietro al Natisone, San Vito al Torre, San Vito di Fagagna, Santa Maria la Longa,
    Sedegliano, Talmassons, Tapogliano, Tarcento, Tavagnacco, Terzo d’Aquileia, Torreano,
    Torviscosa, Treppo Grande, Tricesimo, Trivignano Udinese, Udine, Varmo, Villa Vicentina, Visco.
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    Articolo 4
    Norme per la viticoltura
  4. Le condizioni ambientali di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini di cui all'art. 2
    devono essere quelle tradizionali della zona e, comunque, atte a conferire alle uve ed ai vini le
    specifiche caratteristiche di qualità. Sono pertanto da considerarsi idonei ai fini dell' iscrizione
    nello Schedario viticolo, tutti i vigneti ubicati in terreni adatti alla coltivazione ad esclusione di
    quelli ad alta dotazione idrica con risalita della falda e quelli torbosi.
  5. I sesti d’impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli
    generalmente usati e, comunque, atti a non modificare le caratteristiche delle uve e dei vini. Per i
    nuovi impianti e i reimpianti, sono ammesse le forme di allevamento a parete verticale e GDC ad
    esclusione del tendone e della pergola con una densità' dei ceppi per ettaro non inferiore a 3.500 in
    coltura specializzata.
  6. È vietata ogni pratica di forzatura. È ammessa l'irrigazione di soccorso.
  7. La produzione massima di uva per ettaro di vigneto a coltura specializzata non deve superare i
    limiti di seguito indicati per ciascuna tipologia e deve inoltre assicurare, per ogni tipologia di vino i
    titoli alcolometrici volumici naturali minimi come appresso indicati:
    Tipologia Resa massima Titolo
    per ha (T) alcolometrico
    vol. naturale
    min.
    Bianco 14,00 10,00%
    Cabernet 13,00 10,00%
    Cabernet Franc 13,00 10,00%
    Cabernet Sauvignon 14,00 10,00%
    Chardonnay 14,00 10,00%
    Friulano 14,00 10,00%
    Malvasia 12,00 10,00%
    Merlot 14,00 10,00%
    Pinot Bianco 14,00 10,00%
    Pinot Grigio 14.00 10,00%
    Pinot Nero 14,00 10,00%
    Refosco peduncolo rosso 14,00 10,00%
    Ribolla Gialla spumante 14,00 9,50%
    Riesling 13,00 10,00%
    Rosso 14,00 10,00%
    Sauvignon 14,00 10,00%
    Traminer Aromatico 13,00 10,00%
    Verduzzo Friulano 14,00 10,00%
    Spumante 14,00 9,50%
  8. Nelle annate favorevoli i quantitativi di uve ottenuti e da destinare alla produzione dei vini a
    denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» devono essere riportati nei
    limiti di cui sopra purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi, inoltre la
    Regione Friuli Venezia Giulia, su richiesta motivata del Consorzio di tutela e sentite le
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    organizzazioni di categoria interessate, prima della vendemmia, con proprio decreto, può stabilire
    ulteriori diverse utilizzazioni/destinazioni delle succitate uve.
  9. La Regione Friuli Venezia Giulia, per conseguire l’equilibrio di mercato o per sopraggiunte
    calamità naturali, su proposta del Consorzio di tutela della denominazione, sentite le organizzazioni
    di categoria interessate, prima della vendemmia, con proprio decreto, può altresì, stabilire un limite
    massimo di utilizzazione di uva e/o di vino per ettaro per la produzione dei vini a denominazione di
    origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» inferiore a quello fissato dal presente
    disciplinare. La Regione Friuli Venezia Giulia può altresì consentire ai produttori di ottemperare
    alla riduzione di resa massima classificabile anche con quantitativi di vino della medesima
    denominazione/tipologia giacente in azienda, prodotti nelle tre annate precedenti.
    Articolo 5
    Norme per la vinificazione
  10. Le operazioni di vinificazione e di affinamento devono essere effettuate all'interno della zona di
    produzione di cui al precedente art. 3. Tuttavia, tenuto conto delle situazioni tradizionali di
    produzione e vinificazione, è consentito che tali operazioni vengano effettuate anche nei comuni di
    Cordignano, Orsago, Gaiarine, Portobuffolè, Mansuè, Meduna di Livenza e Motta di Livenza in
    provincia di Treviso e nei comuni di Portogruaro, Pramaggiore ed Annone Veneto in provincia di
    Venezia. Inoltre, le operazioni di spumantizzazione per le tipologie «Ribolla gialla spumante» e
    «Spumante», ossia le pratiche enologiche per la presa di spuma, per la stabilizzazione e la
    dolcificazione nelle tipologie ove ammessa, tenuto conto delle situazioni tradizionali, sono
    consentite anche nelle Provincie di Treviso, di Venezia e nel comune di Dobrovo nella Repubblica
    di Slovenia.
  11. La resa massima dell'uva in vino non deve essere superiore al 70% per le tipologie Cabernet,
    Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Merlot, Pinot nero, Refosco dal peduncolo rosso e Rosso,
    mentre per le rimanenti tipologie non può essere superiore al 75%. Qualora la resa uva/vino superi
    detto limite, ma non oltre l’80%, l'eccedenza non avrà diritto alla denominazione di origine
    controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» se la resa uva/vino supera l’80% decade il diritto alla
    denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» per l'intera partita.
  12. Per il vino spumante a denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia»
    «Spumante», «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla spumante», «Friuli» o «Friuli
    Venezia Giulia» «Spumante metodo classico» e «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla
    spumante metodo classico» la resa massima dell'uva in vino finito non deve essere superiore al
    65%. Qualora la resa uva/vino superi detto limite, ma non oltre il 70%, l'eccedenza non avrà diritto
    alla denominazione di origine controllata.
  13. Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche locali, leali e costanti, atte a
    conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche. È consentito l'arricchimento dei mosti e dei vini di
    cui all'art. 1 nei limiti stabiliti dalle norme comunitarie e nazionali, con mosti concentrati ottenuti da
    uve dei vigneti iscritti allo Schedario viticolo della stessa denominazione di origine controllata
    oppure con mosto concentrato rettificato o a mezzo concentrazione a freddo o altre tecnologie
    consentite.
  14. Le tipologie «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla spumante» e «Friuli» o «Friuli
    Venezia Giulia» «Spumante» devono essere ottenute esclusivamente per fermentazione naturale in
    autoclave. La durata del processo di elaborazione, compreso l’invecchiamento nell’azienda di
    produzione, calcolata dall’inizio della fermentazione destinata a rendere il vino spumante, deve
    essere di minimo 90 giorni. La durata della fermentazione destinata a rendere spumante la partita, e
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    la durata della permanenza della medesima sulle fecce non può essere inferiore a 90 giorni in
    recipienti senza agitatori oppure di 30 giorni se la fermentazione avviene in recipienti provvisti di
    dispositivi agitatori.
  15. Il vino spumante a denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia»
    «Spumante» e «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla spumante» può utilizzare il
    millesimo quando la durata dell’intero processo di elaborazione in autoclave, ivi compreso
    l’affinamento in bottiglia, è di almeno 18 mesi. La durata della fermentazione e della permanenza
    sulle fecce deve essere di minimo 12 mesi in recipienti senza agitatori e di minimo 9 mesi in
    recipienti con dispositivi agitatori ed è immesso al consumo dopo ventiquattro mesi dal 1°
    novembre dell’anno di raccolta delle uve e purché l’85% della cuvée sia riferito all’annata cui fa
    riferimento il millesimo.
  16. Le operazioni di vinificazione, elaborazione e fermentazione in bottiglia del vino a
    denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Spumante metodo
    classico» e «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla spumante metodo classico» devono
    essere effettuate nell'interno della zona di produzione delimitata nel precedente articolo 3.
  17. Le operazioni di tiraggio (rifermentazione in bottiglia e presa di spuma), per il metodo classico,
    sono consentite a partire dal 1° febbraio successivo all’anno di produzione delle uve.
  18. La durata del processo di elaborazione dei vini a denominazione di origine controllata «Friuli» o
    «Friuli Venezia Giulia» «Spumante metodo classico» e «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla
    gialla spumante metodo classico», compreso l’invecchiamento nell’azienda di produzione, calcolata
    dall’inizio della fermentazione destinata a renderli spumanti non può essere inferiore a 9 mesi e
    deve essere altresì affinato almeno 9 mesi in bottiglia e immesso al consumo non prima di 25 mesi.
    a partire dal 1° febbraio successivo all’anno di produzione delle uve.
  19. Le bottiglie di vino atto a divenire a denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli
    Venezia Giulia» «Spumante metodo classico» e «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla
    spumante metodo classico» non etichettate e ancora in fase di elaborazione, cioè non atte al
    consumo diretto, purché con tappo a corona munite dell'idoneo documento accompagnatorio
    possono essere cedute nell'interno della sola zona di elaborazione di cui al precedente comma.
  20. La preparazione del vino spumante base può essere ottenuta da una mescolanza di vini di annate
    diverse, sempre nel rispetto dei requisiti previsti dal disciplinare; per il «Friuli» o «Friuli Venezia
    Giulia» «Spumante metodo classico» e «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla spumante
    metodo classico» millesimato, è obbligatorio l'utilizzo di almeno l'85% del vino dell'annata di
    riferimento.
  21. Il vino spumante a denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia»
    «Spumante metodo classico» e «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» «Ribolla gialla spumante metodo
    classico» può utilizzare il millesimo se il periodo di elaborazione e invecchiamento nelle aziende
    elaboratrici si compone di almeno trenta mesi di affinamento in bottiglia ed è immesso al consumo
    dopo trentasette mesi dal 1° novembre dell’anno di raccolta delle uve e purché l’85% della cuvée
    sia riferito all’annata cui fa riferimento il millesimo.
  22. I vini delle altre denominazioni di origine regionali possono essere riclassificati con la
    denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» purché, la zona di
    produzione ricada interamente nella delimitazione di cui al precedente art. 3, i vini abbiano i
    requisiti previsti dal presente disciplinare e la resa massima della denominazione riclassificante sia
    inferiore o uguale a quella prevista dal presente disciplinare, previa comunicazione del detentore
    agli organi competenti.
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    Articolo 6
    Caratteristiche dei vini al consumo
  23. I vini a denominazione di origine controllata «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia», all'atto
    dell'immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche:
    Bianco:
  • colore: giallo paglierino più o meno intenso a volte con riflessi verdognoli;
  • odore: gradevole, fine;
  • sapore: asciutto, armonico;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
  • acidità totale minima: 4,0 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 14,0 g/L;
    Chardonnay:
  • colore: giallo paglierino più o meno intenso;
  • odore: delicato, caratteristico, fruttato;
  • sapore: asciutto, armonico;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
  • acidità totale minima: 4,0 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 14,0 g/L
    Friulano:
  • colore: dal giallo paglierino al giallo dorato;
  • odore: caratteristico;
  • sapore: asciutto, armonico;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
  • acidità totale minima: 4,0 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 14,0 g/L;
    Pinot bianco o Pinot blanc:
  • colore: giallo paglierino più o meno intenso a volte con riflessi verdognoli;
  • odore: caratteristico, fruttato;
  • sapore: asciutto, armonioso, delicato e vellutato;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
  • acidità totale minima: 4,0 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 14,0 g/L;
    Pinot grigio o Pinot gris:
  • colore: giallo paglierino più o meno intenso o ramato;
  • odore: caratteristico, fruttato;
  • sapore: asciutto, armonico, da secco ad abboccato;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
  • acidità totale minima: 4,0 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 14,0 g/L;
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    Sauvignon o Sauvignon blanc:
  • colore: giallo paglierino più o meno intenso a volte con riflessi verdognoli;
  • odore: caratteristico, fruttato;
  • sapore: asciutto, armonico;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
  • acidità totale minima: 4,0 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 14,0 g/L;
    Malvasia
  • colore: giallo paglierino più o meno intenso;
  • odore: fruttato, caratteristico;
  • sapore: asciutto, rotondo, armonico;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
  • acidità totale minima: 4 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 14 g/l;
    Riesling:
  • colore: giallo paglierino più o meno intenso a volte con riflessi verdognoli;
  • odore: semi aromatico, caratteristico, fine;
  • sapore: dal secco all’abboccato;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
  • acidità totale minima: 4 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 14 g/l;.
    Traminer aromatico:
  • colore: giallo paglierino più o meno intenso a volte con riflessi verdognoli;
  • odore: aromatico, intenso;
  • sapore: intenso, asciutto e aromatico, dal secco all’abboccato;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%;
  • acidità totale minima: 4 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 14 g/l;
    Ribolla gialla Spumante:
  • spuma: fine e persistente;
  • colore: giallo paglierino più o meno intenso ;
  • odore: fine, caratteristico;
  • sapore: vivace, armonico, extra brut, brut, extra dry;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00%,
  • acidità totale minima: 5,0 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l;
    Ribolla gialla Spumante metodo classico:
  • spuma: fine e intensa;
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  • colore: dal giallo paglierino con diversa intensità al giallo dorato;
  • odore: fine, ampio;
  • sapore: sapido, armonico, pas dosè, extra brut, brut, extra dry;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00%,
  • acidità totale minima: 5,0 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l;
    Spumante:
  • spuma: fine e persistente;
  • colore: giallo paglierino più o meno intenso ;
  • odore: fine, caratteristico;
  • sapore: sapido, armonico, extra brut, brut, extra dry;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00%,
  • acidità totale minima: 5,0 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l;
    Spumante metodo classico:
  • spuma: fine, persistente;
  • colore: dal giallo paglierino al giallo dorato;
  • odore: caratteristico, fine, talvolta con sentori di lievito;
  • sapore: sapido, armonico, pas dosè, extra brut, brut, extra dry;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00%,
  • acidità totale minima: 5,0 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l
    Verduzzo friulano:
  • colore: dal giallo paglierino carico anche dorato all’ambrato;
  • odore: intenso, armonico;
  • sapore: armonico, dal secco al dolce;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
  • acidità totale minima: 4,0 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L
    Rosso:
  • colore: rosso rubino tendente al granato se invecchiato;
  • odore: intenso, fine;
  • sapore: asciutto, secco, corposo e armonico;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
  • acidità totale minima: 4,0 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L;
    Cabernet:
  • colore: rosso rubino;
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  • odore: intenso, caratteristico;
  • sapore: asciutto, di corpo, armonico, talvolta leggermente erbaceo;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
  • acidità totale minima: 4,0 g/L;
  • estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L;
    Cabernet franc:
  • colore: rosso rubino, tendente al granato con l’invecchiamento;
  • odore: erbaceo, intenso;
  • sapore: asciutto, asciutto, leggermente erbaceo, pieno, tannico, corrispondente all’olfatto;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
  • acidità totale minima: 4,0 g/L;
  • estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L;
    Cabernet sauvignon:
  • colore: rosso rubino tendente al granato con l’invecchiamento;
  • odore: caratteristico, gradevole, intenso;
  • sapore: asciutto, armonico;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
  • acidità totale minima: 4,0 g/L;
  • estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L;
    Merlot:
  • colore: rosso rubino;
  • odore: intenso, caratteristico;
  • sapore: asciutto, talvolta leggermente erbaceo, strutturato, sapido, invecchiando si affina
    acquistando in complessità ed equilibrio;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
  • acidità totale minima: 4,0 g/L;
  • estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L;
    Refosco dal peduncolo rosso:
  • colore: rosso rubino violaceo intenso;
  • odore: intenso, fruttato;
  • sapore: asciutto, talvolta amarognolo;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
  • acidità totale minima: 4,0 g/L;
  • estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L;
    Pinot nero o Pinot noir:
  • colore: rosso rubino, tendente al granato con l’invecchiamento;
  • odore: fine, caratteristico;
  • sapore: armonico, asciutto o abboccato;
    10
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,5%
  • acidità totale minima: 4,0 g/L;
  • estratto non riduttore minimo: 18,0 g/L;
  1. Qualora i vini delle tipologie descritte dal presente disciplinare siano vinificati o affinati in legno,
    possono presentare il caratteristico sentore di legno.
    Articolo 7
    Designazione e presentazione
  2. Nella designazione dei vini «Friuli» o «Friuli Venezia Giulia» il nome del vitigno deve figurare
    in etichetta in caratteri di dimensioni non superiori a quelli utilizzati per la denominazione di
    origine.
  3. Le menzioni consentite nell’etichettatura possono essere utilizzate nelle lingue italiana e/o
    slovena in base alle norme sul bilinguismo in vigore per la regione autonoma Friuli Venezia Giulia.
  4. E’ vietato usare, insieme alla Denominazione di Origine Controllata «Friuli» o «Friuli Venezia
    Giulia», qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quelle previste dal presente disciplinare di
    produzione, ivi compresi i termini “extra”, “fine”, “scelto”, “selezionato”, “superiore”, “vecchio” e
    similari.
    Articolo 8
    Confezionamento
  5. Per il confezionamento dei vini di cui all'articolo 1 sono consentiti tutti i contenitori previsti dalla
    normativa vigente.
  6. Per tutti i vini di cui all'articolo 1 sono consentiti i sistemi di chiusura previsti dalla normativa
    vigente ad esclusione del tappo a corona e per le versioni spumanti il tappo in plastica.
    Articolo 9
    Legame con l’ambiente geografico
    A) Informazione sulla zona geografica.
  1. Fattori naturali rilevanti per il legame
    Categoria vino e vino spumante
    La zona geografica delimitata comprende il territorio amministrativo dei comuni della Regione
    Friuli Venezia Giulia indicati nell’Art. 3, appartenenti alle provincie di Gorizia, Pordenone, Trieste
    e Udine.
    Il Friuli-Venezia Giulia è la regione più nord-orientale d'Italia. La superficie si estende su 7.856
    Kmq. Confina con l'Austria a nord e la Slovenia ad est, ad ovest con la regione Veneto mentre a sud
    si affaccia sul mare Adriatico. La regione si estende su una grande varietà di climi e paesaggi,
    passando dal mite clima mediterraneo della costa al clima continentale della media pianura, fino a
    quello alpino. La superficie totale è suddivisa in un 42,5% di montagna a nord, un 19,3% di collina,
    prevalentemente a sud-est, mentre il restante 38,2% comprende la pianura e la costa.
    Data la grande estensione, gli ambienti rappresentati mostrano, dopo un’attenta analisi, una
    considerevole varietà di elementi morfologici che, nel loro insieme, danno vita ad un paesaggio
    11
    molto articolato in cui i rilievi collinari sfumano nella pianura. La denominazione può essere così
    suddivisa in tre aree morfologiche prevalenti:
  • L'area collinare, che si trova a sud delle montagne e lungo la parte centrale del confine con
    la Slovenia, caratterizzata da suoli composti da flysch con prevalenza di marne sulle arenarie
  • Le pianure centrali, caratterizzate da suoli poveri, aridi e permeabili
  • La zona costiera, che può essere ulteriormente suddivisa in due parti, occidentale e orientale,
    separate dalla foce del fiume Isonzo. Qui, a ovest la costa è bassa e sabbiosa, mentre ad est
    la costa è caratterizzata da un profilo roccioso, dove il Carso incontra l'Adriatico, fino alla
    Val Rosandra e Muggia, al confine con la Slovenia.
    Le Prealpi Giulie, poste a nord della zona collinare, costituiscono un efficace riparo dai venti freddi
    settentrionali. Questa cerchia, unitamente alla vicina costa adriatica che dista una quarantina di
    chilometri, contribuisce a mitigare le escursioni termiche, favorendo l’instaurarsi di un microclima
    mite e temperato del quale la viticoltura si avvantaggia particolarmente. Nelle zone orientali, in
    particolare, è presente l’effetto dei freschi venti dell’est, in primis la bora, che portano ad una
    favorevole situazione per la maturazione delle uve e dei loro precursori aromatici. La differente
    tessitura dei terreni influenza in primo luogo la penetrazione degli apparati radicali delle viti, infatti
    nei terreni sciolti, le radici si approfondiscono per parecchi metri consentendo un costante
    rifornimento idrico e minerale alla pianta, mentre lo strato superficiale del suolo si può disidratare
    senza alcun inconveniente. Ciò porta a prodotti qualitativamente migliori come si ottengono nei
    terreni alluvionali ciottolosi e sabbiosi tipici del Friuli, che vengono ricondotti dalla classificazione
    comunitaria ai terreni vocati per la coltivazione della viticoltura di qualità.
    Ci sono delle caratteristiche ambientali comuni che sono riconducibili al ruolo calorifico dei terreni
    della DOC Friuli, cioè della loro capacità di riscaldarsi, che influenzano notevolmente
    l’assorbimento radicale. Tali terreni hanno una buona conducibilità termica, inducono una buona
    attività radicale durante la fase vegetativa e, con la disidratazione estiva del terreno, permettono
    l’arresto dell’attività vegetativa e quindi un migliore accumulo di sostanze zuccherine, aromi
    primari, precursori aromatici, sostanze polifenoliche, antociani, sostanze azotate e composti acidici,
    nelle bacche. Un altro fattore comune, caratteristico dei terreni della DOC Friuli, è la buona
    concentrazione di micro-elementi che sono strettamente legati alla qualità dei vini, infatti il
    patrimonio enzimatico è fortemente influenzato dal tipo di terreno e l’attività degli stessi è
    influenzata dalla concentrazione di microelementi nel terreno. Tale dotazione di micro-elementi nei
    terreni, influisce sulla stabilità enzimatica che è responsabile delle caratteristiche ossidative o
    riducenti dei vini fintanto nella caratterizzazione del bouquet aromatico ed è proprio per questi
    motivi che è possibile ritrovare un filo conduttore negli aromi dei vini della DOC Friuli.
    Il clima della regione si caratterizza per la presenza di estati calde ma non afose e di inverni freddi e
    mediamente piovosi. Le temperature medie estive sono di 21,5 – 22,5°C, mentre le medie invernali
    sono di circa 4°C. Le tre zone presentano regimi pluviometrici distinti che vanno dai 1.000-1.200
    mm della fascia costiera ai 1200-1800 della fascia delle pianure centrali e collinare, fino ai 2.500-
    3.000 della fascia prealpina. L’entità delle precipitazioni aumenta gradualmente procedendo dalla
    bassa pianura verso la zona pedemontana occidentale del territorio. La stagione invernale risulta
    essere ovunque la meno piovosa; durante la stagione primaverile, a partire dal mese di marzo, le
    precipitazioni diventano via via più elevate fino a raggiungere un massimo relativo nel mese di
    giugno. In corrispondenza del mese di luglio si riscontra una diminuzione piuttosto brusca con
    valori paragonabili a quelli dei mesi invernali. Nel corso dell’autunno si nota un nuovo aumento
    fino al massimo di novembre. Esiste una forte variabilità delle precipitazioni negli anni. La
    variabilità tra anni più siccitosi e anni più piovosi risulta particolarmente accentuata nel periodo
    autunnale ed invernale. Le differenze tendono a diminuire, invece, durante la primavera. Queste
    variazioni chiaramente influenzano le caratteristiche dei vini, infatti in annate più fredde e piovose,
    riferite però al periodo vegetativo della vite (da marzo a settembre) i vini si caratterizzano per una
    presenza maggiore di composti acidici e minore di quelli zuccherini, viceversa le annate calde ed
    asciutte comportano un aumento delle concentrazioni zuccherine e ad una diminuzione delle acidità.
    12
    Si può però mediamente considerare che le zone collinari a nord e ad est della Denominazione sono
    caratterizzate mediamente da temperature leggermente inferiori alla pianura e da precipitazioni
    maggiori durante la fase vegetativa e questo mediamente comporta una produzione di vini con un
    corpo maggiore e una struttura più elevata, viceversa la pianura anche se caratterizzata da
    precipitazioni inferiori può contare sull’apporto delle irrigazioni di soccorso che di fatto, tendono ad
    annullare la differenza che ci sono con i vigneti delle zone collinari.
    Per quanto riguarda i siti della pianura della denominazione “Friuli” è possibile dividerla tra est e
    ovest, a ovest il clima è tra i più caldi e di giorno il riscaldamento dovuto ai raggi solari è molto
    efficace per la scarsità di nebbie e ci sono buone escursioni termiche. Mediamente queste zone sono
    costituite da depositi alluvionali che si sono formati dai materiali trasportati dai vari fiumi
    (Tagliamento, Isonzo, Torre, Natisone, Stella, Meduna, Livenza, Cellina, Noncello, Judrio, ecc..)
    che scorrono all’interno della regione. Tali depositi hanno dato origine a suoli con tessitura che va
    dalla franco-sabbiosa alla franco-sabbiosa-limosa e talvolta sono caratterizzati dalla presenza di
    sedimenti limoso-argillosi profondi, inoltre la zona centrale dalla pianura delle provincie di Udine e
    Pordenone è contraddistinta da enormi quantitativi di materiale calcareo-dolomitico strappati alla
    montagna dalla violenza delle acque e trascinati a valle lungo il loro alveo, L'intera pianura è
    formata da terreno di origine alluvionale, grossolano nella parte più settentrionale, più minuto man
    mano che i fiumi proseguono il loro corso verso sud.
    La pianura a est si caratterizza per un terreno del tipo ferretto o assimilabili ad esso, quindi c’è una
    prevalenza di ghiaia ricoperta o mista ad uno strato di materiale terroso alterato di spessore dai 30 ai
    70 cm.
    Questi terreni sono fondamentalmente responsabili della non elevata alcolicità dei vini della “DOC
    Friuli” anche se riescono a donare agli stessi una buona raffinatezza specialmente per gli aromi in
    particolare dei vini bianchi, infatti i sentori freschi e fragranti del Pinot grigio e quelli fruttati e
    floreali del Pinot bianco, del Friulano dello Chardonnay sono il risultato diretto di questa influenza.
    La zona collinare della denominazione si caratterizza a est per una prevalenza nei terreni delle
    marne eoceniche miste ad arenaria, che costituiscono il cosiddetto “Flysch di Cormòns” che in
    lingua friulana viene comunemente chiamata “Ponca”, mentre le zone collinari a ovest e a nord
    sono caratterizzate dalla presenza di terreno morenico ove, i detriti ghiaiosi sono spesso mescolati
    con frazioni di matrice argillosa siltosa. I vigneti coltivati nelle zone in cui è presente la “Ponca”
    sono caratterizzati dalla produzione di uve che danno vini di buona struttura e con un corpo più
    elevato rispetto a quelli della pianura. In particolare, i vini rossi che si ottengono da vigneti coltivati
    in collina hanno un’eleganza e una finezza di grande spessore. Sono proprio in queste zone che i
    vitigni esprimono tutta la loro tipicità, infatti sia Merlot che il Cabernet franc, sono caratterizzati da
    delle note leggermente erbacee sia al naso che in bocca. Ma anche i vini bianchi che si producono in
    vigneti di collina ottengono un’influenza positiva infatti le varietà come il Verduzzo friulano
    riescono ad esprimere la sua elevata armonia sia all’olfatto che al palato, anche il Bianco trae grandi
    benefici dai terreni in cui c’è la “Ponca” infatti può presentare degli aromi complessi che vanno dal
    floreale al fruttato ma che possono evolversi anche in eleganti aromi terziari che si esaltano assieme
    ai primari e secondari normalmente presenti in essi.
    Un altro fattore importante, causato dall’interazione del clima e del terreno sui vini della “DOC
    Friuli”, è sicuramente rappresentato, dalla lunga durata nel tempo sia dei vini rossi che di quelli
    bianchi, infatti tali vini possono durare oltre un decennio dalla data di vendemmia, mantenendo e
    migliorando le proprie caratteristiche organolettiche.
  1. Fattori umani rilevanti per il legame
    Categoria vino e vino spumante.
    La coltivazione della vite nel territorio dell’attuale regione Friuli Venezia Giulia è stata protagonista
    indiscussa fin dall’antichità. La vitivinicoltura nella zona ha storia antica, le sue origini risalgono al
    700 a.C come si evince dalle testimonianze raccolte nelle antiche scritture greche e romane e
    successivamente avvalorate durante la colonizzazione romana come testimoniano gli scritti di
    Erodiano, Tito Livio e Strabone. In epoca romana il vino Pucino era molto apprezzato alla corte
    13
    imperiale di Roma ed il Senato inviò ad Aquileia dei coloni per diffondere la coltivazione della vite.
    Aquileia, terza città dell’Impero, per alcuni secoli fu il luogo dal quale il vino prodotto in tutto il
    Friuli Venezia Giulia veniva spedito verso le regioni nord-orientali dell’Europa.
    Sotto la dominazione Longobarda la coltivazione della vite godette di un periodo di espansione
    testimoniato anche da pregevoli reperti archeologici conservati a Cividale del Friuli, in particolare
    presso il tempietto Longobardo.
    “Lo stesso anno (181 a.C) fu dedotta nel territorio dei Galli la colonia latina di Aquileia. I tremila
    fanti (che la costituirono) ebbero cinquanta iugeri (Jugero-iugerum: corrispondeva al terreno
    arato in un giorno da una coppia di buoi e misurava m. 35,5x71 pari a 2.520 mq.) di terreno
    ciascuno; i centurioni cento e i cavalieri centoquaranta. Alla deduzione provvidero i tre incaricati
    Publio Scipio ne Nasica, Gaio Flaminio e Lucio Mantio Acidino”.
    È l’atto di nascita della futura Aquileia, riportato da Livio nel Libro 40,34 degli Annali. Con tutta
    probabilità̀ è l’inizio della vera e propria coltivazione della vite in Friuli. Forse la vite e la
    produzione di vino esistevano anche prima dell’occupazione romana quando in Friuli vivevano i
    Celti: Strabone infatti accenna che l’Aquileia preromana riforniva di vino ed olio i popoli vicini.
    Ed è probabile che il vino che i Greci celebravano con molte lodi col nome di Pictaton, e che
    dicevano provenire dai limiti estremi dell’Adriatico, fosse il Pucino dell’imperatrice Livia. Un fatto
    è certo: è con l’arrivo dei Romani e con il deciso sviluppo agrario da loro impresso che il vino
    diventa “abbondante ed a buon prezzo”. Lo storico greco Erodiano ci dà una immagine precisa
    delle vigne di quei tempi nella sua “Storia dell’imperatore Massimino”: nella campagna di Aquileia
    “disposti sono gli alberi ad eguali distanze, ed accoppiate sono le viti, formando un quadro giulivo,
    tanto da sembrare quelle terre adorne di corone frondeggianti”. Il primo secolo avanti Cristo fu
    per Aquileia ed il Friuli un periodo di pace e di grande sviluppo. Augusto, divenuto arbitro del
    potere (27 a.C profuse molto impegno al consolidamento dei confini nord-orientali ponendo al
    centro di tale sistema Aquileia, dove vi soggiornò più volte, anche assieme a Livia che era una
    profonda estimatrice del Pucino, il vino che si produceva presso le fonti del Timavo ed al quale
    l’imperatrice stessa attribuiva gran merito dei suoi 86 anni, avendo bevuto solo questo vino. Quando
    Augusto diede all’Italia il nuovo ordinamento amministrativo, creò la X Regio Venetia et Histria
    con capitale Aquileia, che divenne un centro produttivo e commerciale di grandissima importanza
    sfruttando pienamente il lungo periodo di congiuntura favorevole della “Pax Romana Augusta”. Le
    migliaia di anfore trovate nel porto di Aquileia, molte di esse con acini dentro, stanno a sottolineare
    il grande volume dei traffici legati al vino.
    Nonostante le botti venissero adoperate per servire i mercati più freddi del Nord e dell’Est, nei
    secoli a seguire l’uso delle anfore non venne abbandonato. Una conferma ci viene da un prezioso
    documento del 762 che riguarda l’elenco dei beni di tre ricchi fratelli longobardi, Erfo, Anto e
    Marco, del 762, che fondarono il Monastero femminile in Salt di Povoletto (a nord di Udine), dove
    si era ritirata la loro madre Piltrude. Monastero al quale i liberi coltivatori, probabilmente livellari,
    di Medea e di Cisis, dovevano dare ogni anno cento anfore di vino. Il documento, sottolinea
    Gaetano Perusini, prova che in Friuli, anche nei periodi più travagliati del Medioevo, la coltivazione
    della vite era ancora largamente diffusa fra un ceto di piccoli coltivatori liberi, non astratti cioè da
    vincoli servili verso i proprietari del suolo, ma semplicemente obbligati da contratti liberamente
    stipulati (il documento del 762, infatti, parla chiaramente di “chartae”). Alle cento anfore di vino
    ricordate, va aggiunto il vino prodotto delle vigne del monastero. Era, quindi, una quantità
    ragguardevole e certamente superiore al fabbisogno interno della piccola comunità monastica
    femminile. Per cui è facile concludere che parte del vino venisse venduto. L’attività agricola
    durante il periodo longobardo non cessò, anche se il problema dell’abbandono delle terre coltivate
    caratterizzò tutto il periodo. La perdita dei grassi subita con il quasi totale abbandono della coltura
    dell’olivo viene compensata da quelli del maiale che diventa strumento di essenziale sussistenza. I
    Longobardi allevano cavalli, oltre che a produrre miglio, panico, sorgo, spelta, segale e orzo. Si
    piantano anche vigneti e frutteti, tant’è che vennero emanate delle leggi che per la prima volta
    tendono a creare una diversa proprietà fra la terra e l’albero appositamente piantato. Anche se molti
    14
    studiosi di storia economica sostengono che nell’Alto Medioevo il commercio fosse pressoché
    scomparso, il documento del 762 sembra invece testimoniare che il commercio del vino in Friuli si
    era mantenuto vivace. Certo: la regione Friuli subì danni gravissimi dalle invasioni, specialmente
    nelle città. Ma l’esistenza del commercio del vino ci fa pensare ad una vita cittadina dove gli scambi
    commerciali erano superiori a quanto gli storici non siano soliti ammettere. Lo studio sulle
    campagne friulane nel tardo medioevo fatto da P. Cammarosano (Udine 1985), ci conferma che nel
    Medioevo “il vino era prodotto in tutta la pianura, dall’isontino al Tagliamento alla linea delle
    risorgive, ed ampia era la sua diffusione nelle zone collinari: nel Collio, nel Cividalese, sulle
    colline moreniche a Nord di Udine”. Comunque, il trasporto del vino con le anfore, facile ed ideale
    per le navi, stava cedendo sempre di più il passo alle botti, più leggere e maneggevoli.
    “L’anfora fu sostituita dalle botti per il trasporto del vino durante il terzo secolo d.C., cioè quando
    il flusso del vino da Roma verso le colonie prese la direzione opposta, e furono i popoli celtici che
    cominciarono a rifornire l’Italia. La botte, così come noi la conosciamo, fu inventata dai Celti...”.
    Dai Celti detta Gallia Transalpina. Così sostiene Hugh Johnson (Il vino. Storia tradizioni cultura,
    1991), che però non cita né Aquileia (i cui mercati, sono sempre stati, oltre all’Italia, il Nord Europa
    e l’Est) né Antonio Zanon (Dell’Agricoltura, delle Arti, del Commercio. Tomo III, Lettera V pag.
    i;8. 1764) che osserva, invece, come “Nella storia del Commercio d’Aquileia... si vedrà quanto
    fertile di vino fosse il Friuli fino nel secondo secolo. Conviene, che Domiziano avesse rispettate le
    viti del Friuli, come destinate per i vini più esquisiti, che si trasportavano nelle cantine Imperiali. I
    Friulani di que’ tempi - sostiene lo Zanon - furono cotanto ingegnosi che inventarono le botti di
    legno, come vi sono ragionevoli congetture”. (L’imperatore Domiziano, alla fine del I secolo, in
    effetti con un editto proibì a chiunque di piantare nuove viti in Italia e impose di far tagliare i
    vigneti nelle province, conservandone al massimo la metà. Sul mercato, allora, c’era abbondanza di
    vino, mentre scarseggiava il frumento. È quindi probabile che, con un anticipo storico di una
    politica agraria che duemila anni dopo avrebbe adottato anche L’Unione europea, si sia imposto
    l’estirpo dei vigneti per rivolgersi a colture ritenute di maggior necessità economica come il
    frumento; i vigneti che vennero risparmiati, con tutta probabilità, saranno stati i migliori e tra questi,
    secondo lo Zanon, quelli del Friuli. Anche se, come ci informa Svetonio nel De vita caesarum,
    L’imperatore non insistè molto nel far rispettare l’editto) Tito Maniacco ne I senzastoria, osserva
    che “non è certamente vero quel che sostiene lo studioso friulano del ‘700, Antonio Zanon, quando
    afferma che la botte è un’invenzione friulana”. Ma non spiega il perché di questa sua affermazione,
    limitandosi a notare che “È caratteristico della zona (il Friuli ndr) che la botte, invenzione celta,
    fosse ampiamente usata”. Gaetano Perusini, nel suo Bacco in Friuli (1967) asserisce che “all’epoca
    romana la vite era largamente coltivata nella nostra terra come si può desumere da un passo di
    Erodiano (storico greco vissuto nel III sec. d.C. ndr) il quale testimonia che l’imperatore
    Massimino il Trace (nel 238 d.C. ndr) potè passare l’sonzo in piena sopra un ponte fatto legando
    assieme le botti abbandonate nelle campagne dagli abitanti in fuga”. (Herodiani, Historie Lib. VII
  • cap. 4). Giova notare che, mentre Johnson dice che la sostituzione delle anfore con le botti avviene
    nel III sec. d.C., Erodiano ci ricorda che nel Friuli romano le botti erano molto usate già nel 238
    d.C. e che quindi si può supporre fossero state adottate moltissimi anni prima. A conferma di ciò
    Strabone (circa 63 a.C. - 21 d.C.) in “Geographica”, ci fa sapere che Aquileia, nell’alto Adriatico,
    funzionava da emporio per le tribù dell’illiria ed era nota per possedere botti di vino grandi come
    case. Ancora Perusini afferma che “Bacco arrivò in Friuli in epoche lontane, certamente prima che
    in Francia; il vino allietava gli abitanti della nostra regione quando La Gallia Transalpina ignorava
    ancora l’esistenza della vite”. Questa, del Perusini, è l’interpretazione storica più accreditata, quella
    degli autori romani, sostenuta, poi, dalle prove archeologiche. “Ma c’è chi è spinto, annota Johnson,
    dal proprio orgoglio gallico a cercare più indietro nel tempo e a sostenere che furono i remoti
    predecessori dei Celti a gettare le basi della viticoltura francese”. Solo con la fondazione di Narbo
    (La futura Narbonne) nel 118 a.C., la viticoltura romana si consolida. Il progetto di sviluppo della
    nuova colonia, che poi diverrà la capitale effettiva di tutta la Gallia Transalpina, ricalcava quello
    adottato per Aquileia (181 a.C.). Ad Aquileia i vigneti vennero piantati molto prima; inoltre i suoi
    15
    sbocchi commerciali, favoriti dal porto protetto dalla Laguna di Grado e quindi in posizione
    strategica sia per la produzione che per la distribuzione al di fuori dei mercati locali, erano da
    sempre rivolti soprattutto verso l’Est e il Nord: paesi molto freddi per i quali il trasporto, che
    avveniva anche via terra, offriva minori garanzie con le anfore di quello fatto con le botti. Ed il vino
    rappresenta una grande quota di tali commerci, tanto che, visti anche gli alti consumi, veniva
    importato dall’Istria e dal veronese. Il che ci riporta alla nostra piacevole “querelle” sulla paternità
    delle botti.
    “Vi sono ragionevoli congetture” che fossero stati i friulani di allora ad inventarle. I Celti in Friuli
    arrivano molto prima dei Romani. “Possiamo tuttavia con certezza affermare - scrive Gian Carlo
    Menis nella sua Storia del Friuli - che tra il V ed il III secolo a.C. mentre tribù dei Norici, Taurisci
    ed Istri occupavano le regioni transalpine nordorientali, altre tribù di Celti, provenienti dall’Europa
    centrale, occuparono la regione (il Friuli) tra Livenza e Timavo, già lasciata libera dai Paleoveneti”.
    Quando i primi Romani giungono in Friuli, nel 186 a.C., trovano i Celti, li combattono e li
    annettono, assieme alle Loro tradizioni (che ancora oggi il Friuli tramanda), alle loro conoscenze. I
    Celti sapevano lavorare molto bene il ferro, tant’è che le popolazioni che occupavano l’attuale
    Carnia avevano messo a punto un aratro rivoluzionario. Nelle fonderie nei pressi di Monte Croce
    carnico, dove producevano anche ottime falci, progettarono un aratro a ruota con vomere in ferro,
    tale da incidere in profondità il terreno. Fu così che si sviluppò un’agricoltura basata sui cereali
    resistenti al freddo, come orzo, avena e anche grano. I Celti-Friulani di allora, pertanto, avevano in
    mano la “tecnologia” che poteva esser applicata anche alla lavorazione del legno per costruire te
    doghe delle botti. Le botti, quindi, invenzione dei celti-friulani? Vi sono ragionevoli congetture per
    crederci.
    Durante il Medioevo il vino friulano, soprattutto la Ribolla, era dono gradito presso le corti europee,
    successivamente ai luogotenenti della Serenissima Repubblica di Venezia o a quelli di influenza
    austriaca al soldo dei conti di Gorizia. Come testimoniato da numerosi documenti, il vino costituiva
    merce di scambio e mezzo di pagamento dei tributi o dei debiti.
    Nel tardo Medioevo e, soprattutto, dall’inizio del ‘500, la regione fu suddivisa in due aree distinte:
    in quella orientale il potere degli Asburgo si estendeva sul goriziano e sull’odierna Venezia Giulia,
    mentre la Serenissima repubblica dominava il Friuli. I veneziani promuovevano il vino prodotto in
    questi territori in tutti i suoi domini e lo utilizzavano negli scambi commerciali con gli altri Paesi
    europei. Questo provocò l’innalzamento dei dazi doganali imposti dallo stato austriaco per
    l’importazione dei vini nella contea di Gorizia e dei suoi porti. Il provvedimento portò aspetti
    positivi in quanto venne incrementata la produzione locale e aumentarono le superfici investite a
    vigneto nelle zone sottoposte alla dominazione austriaca, facendone una delle zone più pregiate
    d’Europa.
    “Venezia è entusiasta dei vini friulani (e dei ducati che rendeva il contado)” Francesco Michiel nel
    1553 diceva che la bellissima Provincia era provvista di “vini perfettissimi di ogni sorte in
    grandissima quantità”, mentre Nicolò Tiepolo (il medesimo che, in un solo anno, aveva saputo
    sputare al già dissanguato Friuli oltre 230.000 ducati), nel 1735 descrive la Piccola Patria “fertile di
    vini”. Il Settecento è il secolo che vede entrare sulla statica e superata scena enologica friulana
    personaggi di grande spessore, che riuscirono a cogliere il nuovo messaggio che arrivava da tutta
    l’Europa: la ricerca della qualità prendeva il sopravvento e dei vini finalmente se ne apprezzava lo
    stile, il colore, i sapori che si stavano facendo raffinati. Il modello enologico era diventato la
    Francia i cui vini, soprattutto della Borgogna, erano tanto celebri e costosi anche a Venezia da far
    osservare ad Antonio Zanon che “verrà il momento... che cesserà ... il fanatismo pel vino di
    Borgogna; e trovando i posteri nostri memorie del gran prezzo, che tal vino costò, crederanno, che
    non un vino comune per le mense; ma nettare quasi celeste sia stato quello. ...ci debba correre (tra
    i vini di Borgogna e quelli del Friuli ndr) nel prezzo un divario come di quaranta a uno”.
    Comunque, quel soffio raggiunse Venezia e da lì qualche illuminato friulano. Il conte Lodovico
    Bertoli pubblicò, nel 1747 a Venezia, all’età di 59 anni, il volumetto “Le vigne ed il vino di
    Borgogna in Friuli”. Il Bertoli analizza, in maniera precisa, il mercato del vino in Europa
    16
    osservando che “i Francesi sono già da gran tempo essi soli in possesso della vendita di questo
    vantaggioso prodotto” in tutt’Europa. Il Bertoli constata che tra il Friuli e la Borgogna vi sono
    sostanziali similarità di terreni e microclimi, quindi le condizioni per produrre vini di alta qualità
    anche in Friuli ci dovrebbero essere tutte. Il problema stava negli uomini: da una parte, in
    Borgogna, vi era una nazione “sollecitatissima” al proprio utile, mentre i friulani sono
    “trascuratissimi”. Quindi andava modificata la mentalità dei proprietari terrieri “che il costume
    reputa per troppo abbietta una tale occupazione”. Lo scritto del Bertoli è il frutto di molte
    sperimentazioni condotte direttamente e quindi le proposte, che attraverso il libro lui intendeva
    divulgare, sono reali, coerenti e tra loro organiche. Il centro sperimentale del Bertoli era a Biauzzo,
    nella Bassa friulana, in località Marinutto. Venne individuato un terreno sciolto, simili a quelli,
    appunto, della Borgogna e che si sapeva già dare ottimi risultati qualitativi. Il sesto d’impianto
    scelto per piantare il vigneto era, per il Friuli, rivoluzionario, anche se in altre regioni italiane e in
    Francia, Germania, Austria, Ungheria era ormai adottato: Bertoli contesta la coltura promiscua del
    Friuli ed il sistema di allevamento della vite maritata agli alberi, detta “piantata friulana”. Lui è
    deciso sostenitore di un vigneto a coltura specializzata, con le viti basse, sorrette da tutori secchi.
    Vigneto lavorato, per tenerlo pulito dalle infestanti e orientato Nord-Sud. È ciò che farà su un
    rettangolo con una base di 200 pertiche (circa 408 metri), dove “divisi in prima il sovradetto spazio
    di terra in cento e trentaquattro file tendenti al mezzo giorno, e distanti all’intorno di quattro piedi
    l’una dall’altra, feci nella prima fila cavare tutto lungo un fosso... si cominciò a piantare i
    Magliuoli la metà colcati, e l’altra metà dritti,... che avessero... a rimanere due piedi distanti l’un
    dall’altro.” Così “fu piantata tutta la vigna, avendosi posti in opera 6oo Magliuoli per ogni fila,
    80400 in tutta la vigna” di Refosco di Biauzzo. Traccerà quindi 134 filari da 408 metri l’uno,
    distanti tra loro 1,36 m e con le viti a 68 cm sulla fila. Ne uscirà un vigneto di 8,5 ettari con una
    densità di 9.338 viti-ettaro. Un vigneto eccellente, avveniristico e sicuramente, per moltissimi
    proprietari e contadini friulani, folle. Anche nella vinificazione si ispirò ovviamente alla Borgogna e
    soprattutto al tono di colore di quei vini, che era di un rubino delicato. Ridusse la macerazione sulle
    bucce al minimo indispensabile (una giornata e mezzo se le temperature erano elevate) onde evitare
    quel colore intensissimo che tanto amavano i suoi compaesani, ma non i mercati, quello di Venezia
    compreso. Raggiunto il colore desiderato, il mosto veniva travasato in una botte di castagno o di
    ciliegio montano (certamente più gentile del precedente). Quando la fermentazione tumultuosa
    diminuiva d’intensità, il foro della botte veniva chiuso con un tappo forato dove si infilava un
    imbuto che faceva La funzione di vaso di colmatura: siamo di fronte ad una fermentazione che
    segue, a grandi linee, la tecnica adottata oggi per la fermentazione di un vino bianco in barrique.
    Qui, però, applicata ad un rosso. I profumi si fondono con il legno, Le temperature, nella botte, non
    salgono mai troppo e l’affinamento conferisce al vino stesso una ricchezza ed una pienezza di
    grande interesse, oltre a facilitare la chiarifica. In tutto ciò, va osservato, i travasi sono fondamentali
    per l’equilibrio olfattivo del vino, ameno secondo i gusti di oggi. Bertoli lo lasciava riposare per tre
    anni in botte (un po’ tanti per un rosso leggero, ottenuto con una brevissima macerazione). E senza
    travasi? pare proprio di sì. Noi non conosciamo (anche se possiamo immaginarli) quali erano i
    parametri per sapere fin dove un profumo restava tale e da che punto si trasformava, per i
    consumatori del Settecento, in puzza. (La tecnica di vinificazione che sarà propria dell’Asquini, che
    pur si era ispirato al lavoro del Bertoli, rappresenterà una netta evoluzione verso uno stile molto più
    curato e raffinato). Sta di fatto che il vino che Bertoli ottenne fu giudicato ottimo tanto che,
    presentate sull’agguerrito e sofisticato mercato di Venezia alcune sue bottiglie, vennero vendute e
    scambiate per francesi. “Ma sarrebbe stata bella, scrive il Bertoli, se uno all’ora avesse detto:
    avvertite Signori, che il Vino, che avete comprato, e che lo trovate essere il migliore Vino di
    Borgogna, non è altrimenti Vino di Borgogna, ma è Vino del Friuli; aveste sentito sgridare come se
    lor fusse corso il lupo addosso”. Giovanni Bottari, agronomo, non propose un vigneto
    all’avanguardia come il Bertoli, bensì cercò di correggere la piantata friulana affinché si potessero
    ottenere più foglie dai gelsi, a cui erano maritate le viti, ed atto stesso tempo maggior quantità di
    uva. Bottari operava nella Bassa friulana, a San Michele di Latisana, dove il vino “di tutto quel
    17
    paese che lungo il mare si estende, sul cadere del passato secolo teneasi per infame e di pessima
    qualità” divenne, intervenendo sulla scelta dette uve, sulla sistemazione dei vigneti ed in cantina
    “se non eccellente, certo migliore d’assai a quello di prima”. I mercati a cui quei vini erano
    destinati non erano gli stessi, molto sofisticati, del Picolit dell’Asquini, ma si rivolgevano a quelli
    popolari di Trieste e Venezia.
    Con i contratti agrari in essere era chiaro a Bottari che la coltura promiscua non poteva essere
    abbandonata: vino e seta erano i prodotti più importanti e diffusi del Friuli e nessun agricoltore vi
    avrebbe rinunciato. Quindi era necessario tentare di migliorare la convivenza del gelso con la vite
    attraverso degli accorgimenti che sfoltissero, innanzitutto, il numero di viti per tutore (da otto a
    due); che rendessero più controllabili i tralci, che si riducevano a tre soltanto evitando atto stesso
    tempo di far arrampicare i futuri capi a frutto sui rami dei gelsi, al fine di far produrre a questi
    ultimi una maggior quantità di foglia. I risultati furono immediati, tanto che il conte Gherardo
    Freschi, agronomo nonché fondatore e presidente dell’Associazione agraria friulana, affermava che
    gli agricoltori del Friuli consideravano Bottari un loro maestro. L’abate Gottardo Canciani, con la
    sua Memoria netta quale si analizzano i vari problemi dell’agricoltura friulana, scritto net 1773, si
    occupa di vino alla lezione XIV del suo testo. Canciani, contrario per ragioni morali agli eccessi di
    alcol, giustificherà il suo intervento sul vino solo per quello destinato all’esportazione, escludendo il
    vino ordinario, convinto così di aver messo in pace la sua coscienza. “Per tali ragioni se in questa
    lezione io tratto detta qualità, e della quantità dei nostri vini, sempre te mie riflessioni si dovranno
    intendere col rapporto, che essi hanno al commercio fuori Provincia”. Per recuperare qualità,
    Canciani propone interventi di natura enologica, tra i quali ci paiono interessanti e tutt’ora attuati, la
    raccomandazione di raccogliere le uve mature il più possibile e di spremerle appena raccolte; di
    separare le uve nere dalle bianche; di travasare quindi prima della primavera facendo attenzione che
    te botti siano sempre colme. Consigli elementari, si dirà. Ma anche fondamentali per ottenere un
    buon vino.
    Con la Dieta di Worms (1521) e gli accordi di Venezia (1523) Si sancisce la divisione del Friuli in
    due zone di influenza: quella occidentale sotto Venezia e quella orientale con Gorizia, Gradisca,
    Cormons e Aquileia sotto l’Impero. Divisione che resterà, salvo brevi periodi di interferenze
    reciproche e dei francesi, fino al 1918. La Contea di Gorizia aveva nella Carinzia e nella Carniola
    (l’attuale Slovenia) i loro mercati principali per l’esportazione del vino. Ne bevevano tanto, oltre le
    Alpi, che nel 1527 dovettero fondare, in Stiria, una società, sotto la protezione di San Cristoforo,
    che stabilisse le regole al fine di arginare il fenomeno della ubriachezza e delle bestemmie. Tra
    Venezia e Vienna, però, nonostante la pace, le liti continuavano. Soprattutto con i dazi. Inoltre,
    Venezia era favorita rispetto alla Contea di Gorizia in quanto aveva il possesso delle vie di
    comunicazione attraverso Pontebba e Tarvisio: vi esportava i propri vini, importando lino e ferro
    che vendeva poi in Friuli. Ciò mise fuori gioco le esportazioni del goriziano. L’unica soluzione era,
    per questi ultimi, aprire un collegamento diretto con l’Impero senza passare sui territori veneziani.
    Progetto realizzato nel 1576 da Carlo d’Asburgo che, passando per Canale e Plezzo, permise di
    arrivare a Tarvisio e quindi di servire la Carinzia e la Carniola con i propri vini importando allo
    stesso tempo lino e ferro. I mercati a cui il vino friulano si rivolgeva in questo periodo
    continuavano, quindi, ad essere quelli di lingua tedesca e slava. Che ricevettero ulteriore impulso
    agli inizi del Settecento quando la politica imperiale si orientò verso i due principali sbocchi
    marittimi che dichiarò porti franchi: Fiume nel 1717 e Trieste nel 1718. La libertà dei traffici sarà
    resa possibile grazie a Maria Teresa che nel 1765 stabilì il libero commercio negli Stati austriaci. I
    mercati del Centro Europa avevano esigenze completamente diverse da quello locale, che chiedeva
    vino rosso molto intenso e asciutto, al contrario degli altri che preferivano vini bianchi amabili e
    dolci. Erano due mondi, due civiltà, due culture del vino a confronto: il consumatore dell’Europa
    centrale viveva il vino come bene di lusso ed in esso desiderava trovare il simbolo del paese di
    provenienza, il sole: il vino bianco dorato, dolce, carico di sensazioni olfattive mediterranee lo
    trasportava in quell’ambiente che sognava. Per i friulani, invece, il vino significava fatica e sudore
    (“vin sudàt un an par falu, vin cirùt di falu bon” recita la villotta friulana: abbiamo sudato un anno
    18
    per farlo, abbiamo tentato di farlo buono); era bevanda quotidiana, alimento che sopperiva a calorie
    che da sempre mancavano; il vino rosso - “neri” in friulano – faceva buon sangue e quindi più era
    intenso, scuro e di conseguenza aspro e tannico e più dava la sensazione facesse bene. La tradizione
    dei bianchi friulani nasce proprio su queste colline, innescata da precise esigenze di mercato e
    giungerà fino a noi. Erano Tocai esuberanti, ricchi di profumi di fiori di campo; ampi, molto
    avvolgenti e con una sensazione ammandorlata personalissima.
    Le zone di produzione tra bianchi e rossi erano nettamente individuabili: le colline (che oggi vanno
    a formare i Colli orientali ed il Collio) producevano i bianchi in quanto meglio collegate al bacino
    di utenza dei loro clienti. La pianura era piantata a uve rosse, il cui vino era destinato al mercato
    locale che poi, alla fine, significava un vino unico, il “nostran”, il nostrano, ottenuto da un
    miscuglio di varietà tra le quali prevaleva il Refosco, coltivato su tutto il Friuli. La pianura
    considerata in grado di dare vini di qualità era allora grosso modo quella di oggi. In un documento
    del 1718, presso l’Archivio di Stato di Udine, la Bassa vinicola era rappresentata da “le ville che
    fanno vini fra la città di Udine et fortezza di Palma, di là del Tagliamento, territorio di Monfalcone,
    le altre ville basse verso il fiume Stella”. Quando si produceva Refosco in collina, lo si otteneva
    amabile per andare incontro ai gusti tedeschi, il che spiega come ancor oggi, soprattutto sulle
    colline di Nimis e Savorgnano del Torre ci sia la tradizione dei Refoschi passiti e dolci. Quindi: i
    vini bianchi avevano un loro mercato preciso e che “tirava”: non avevano nessun bisogno di
    interventi. Invece le preoccupazioni non mancavano per i rossi che, come ci testimoniò il Candani,
    erano completamente lontani dai gusti che stavano imponendo soprattutto i francesi. Un attento e
    perspicace oste di Udine, Domenico Pletti (scrisse, nel 1845, una Memoria sui vini friulani) ci
    conferma quanto appena detto: i soldati francesi, al seguito delle guerre napoleoniche, così gli si
    rivolgevano: “Monsieur Pletti, Donnez moi du vin roux; pas noir”.
    Pietro di Maniago, quando compilò il “Catalogo delle varietà delle viti del Regno Veneto” del 1823,
    dal quale è stato poi possibile individuare quelle coltivate in Friuli, che risultarono essere 127, “ne
    avrebbe potuto raccogliere duemila senza difficoltà, ma sarebbe stata questa inutile fatica”. Mentre
    sul Bullettino dell’Associazione Agraria Friulana del 1921 l’elenco delle varietà coltivate in Friuli
    nel 1863 comprendeva ben 357 vitigni diversi. L’Acerbi, invece, nel 1825 ne catalogava molte di
    meno di “viti friulane dè contorni di Udine”: 26. Era quindi ovvio che fosse necessario sfrondare
    questa esagerata moltitudine di viti, eliminando quelle di minor pregio. Ma già si annunciava alle
    porte il più terribile cataclisma che la storia della viticoltura europea ricordi: la comparsa dell’oidio
    prima, della fillossera subito dopo ed infine della peronospora. L’oidio venne per la prima volta
    individuato verso il 1840 in Inghilterra dal giardiniere di John Slater di Margate, certo Mr. Thuker.
    In Italia, secondo Dalmasso, arrivò nel 1879, mentre in Friuli venne individuata per la prima volta,
    afferma Gaetano Perusini, solo il 28 giugno del 1901 in un orto di Castions di Strada. Ma nei
    vigneti del goriziano sappiamo che fu scoperta nel 1888. Però già nel 1874 l’allarme venne dato
    nella Contea di Gorizia e Gradisca, quando si constatò il fallimento di tutti i tentativi effettuati
    nell’area attigua alta Scuola di viticoltura di Klosterneuburg, nei pressi di Vienna, per fermare e
    distruggere l’infezione. Comunque è molto probabile che la fillossera si fosse intrufolata nei nostri
    vigneti motti anni prima. In proposito ci sono dei dati di produzione del vino nel Friuli riferiti al
    1841, quando si ottennero 167.565 hl e quelli del 1862 pari soltanto a 14.259 hl; il vistosissimo calo
    viene interpretato da studiosi friulani come l’effetto della fillossera. La peronospora venne scoperta,
    per la prima volta, nel 1881 nelle vicinanze di Gorizia dove, nel 1852, la produzione era di poco
    superiore ai 100.000 ettolitri, metà dei quali di Rabiolo, Cividino e altri bianchi ora scomparsi.
    Con il XIX secolo arrivarono in Friuli le prime viti di Pinot grigio, bianco, nero, Merlot e
    Sauvignon grazie al Conte De La Tour che aveva sposato la nobile proprietaria di Villa Russiz a
    Capriva del Friuli, varietà che poi si diffusero in tutto il Friuli contemporaneamente alla
    ricostruzione post-filosserica, prima della quale si arrivò a una base ampelografica che sfiorava le
    trecento varietà.
    Nel 1939 arriva il contributo di Guido Poggi che pubblica l’Atlante Ampelografico dove recupera
    tutte le varietà autoctone di maggior pregio. In 65 tavole, che illustrano tralci, foglie e grappoli,
    19
    corredate da una descrizione storica del vitigno e da un’analisi dei vini che producono, Poggi riporta
    in parità la storia con la tradizione, il passato con il presente nella speranza che il futuro proponga
    tempi migliori. Ma l’immediato futuro sarà la Seconda Guerra Mondiale che di certo non aiuterà
    l’economia friulana, come quella di quasi tutte le regioni italiane. A Conegliano, presso la Stazione
    Sperimentate, erano stati impostati, tra il ‘25 ed il ‘32, vigneti sperimentali che avevano subìto,
    anch’essi, i rallentamenti imposti dagli eventi bellici. Ne troviamo 11 in provincia di Udine e 14 in
    quella di Gorizia. Nei vigneti della provincia di Udine le varietà in prova erano, tra i bianchi:
    Prosecco, Traminer, Riesling italico, Trebbiano toscano, Tocai friulano, Pinot bianco, Pinot grigio,
    Verduzzo friulano e Picolit. Fra i rossi: Cabernet franc e sauvignon, Barbera, Merlot, Refosco dal
    peduncolo rosso, Refosco di Faedis, Raboso veronese e Marzemino. In provincia di Gorizia, tra i
    bianchi, ci sono Veltliner, Malvasia istriana, Riesling italico, Pinot bianco e grigio, Sauvignon,
    Traminer, Semillion, Moscato bianco, Moscato rosa, Riesling renano, Ribolla gialla, Sylvaner,
    Trebbiano toscano, Prosecco, Garganega. Tra i rossi: Terrano, Barbera, Cabernet franc e sauvignon,
    Franconia, Gamay, Marzemino, Pinot nero, Pica nera. Come si potrà osservare, La viticoltura
    storica del Friuli era rappresentata, ormai, solo da Picolit, Verduzzo, Ribolla gialla e dai Refoschi.
    Non ci si poteva quindi aspettare che, alla fine degli anni ‘50, accanto alla decisiva presenza nei
    nostri vigneti di viti francesi e tedesche, le varietà autoctone venissero salvate. Infatti in un ulteriore
    indirizzo per la scelta varietale in Friuli, Cosmo “recupera” solo la Ribolla a Gorizia, il Refosco sul
    Carso, Verduzzo e Picolit, col Refosco, a Udine. Il vigneto continuava ad essere per la maggior
    parte promiscuo e la politica del fascismo aveva incentivato l’aumento della coltivazione degli
    ibridi produttori diretti, che non avevano necessità di trattamenti a base di rame e zolfo, che
    dovevano esser destinati alla guerra. Ma a Casarsa, e non solo lì, per procurarsi un po’ di rame e
    difendere dalle crittogame con il solfato le buone e preziose viti rimaste di Merlot e Refosco, i
    contadini consumarono tutto il loro patrimonio di antichi secchi di rame. Il vino, soprattutto rosso,
    era ancora il “nostran” di antica memoria che era composto da un po’ di Refosco e per la maggior
    parte da ibridi quali il Clinto, il Baco evvia dicendo, che avevano sostituito la moltitudine di varietà
    che nei secoli si erano accumulate nei vigneti.
    Dal 1950 al 1979 il vigneto specializzato passa dal 27% al 93% (22.235 ettari contro 1.550 di vigne
    promiscue). Questo salto di qualità, reso possibile da tutta una serie di fattori si trova anche nello
    sviluppo del vivaismo in Friuli uno dei momenti più importanti e significativi. La tragedia della
    fillossera metterà in evidenza le diversità di strutture pubbliche esistenti tra il Friuli diventato
    italiano e quello ancora austriaco. Naturalmente a favore di quest’ultimo. Pur essendo in tutt’Europa
    impotenti, nei primi anni, di fronte a tale flagello, la Contea di Gorizia e Gradisca aveva a
    disposizione una Stazione sperimentale di viticoltura di altissimo livello: quella di Klosterneuburg,
    nelle vicinanze di Vienna, fondata nel 1860 ed il cui primo direttore fu il barone von Babo.
    (Conegliano sarebbe sorta nel 1923 mentre Parenzo, in Istria, nel 1931). La borghesia aveva avuto
    un diverso sviluppo di quello del Friuli occidentale ed anche la classe nobile era, dal punto di vista
    economico, molto più preparata ad affrontare le nuove situazioni che si stavano delineando. Non
    appena dalla Francia giunsero le prime notizie dei timidi successi sulla fillossera con gli innesti su
    legno americano, la deputazione centrale della Società Agraria goriziana chiese al governo
    austriaco, già il 1° aprile del 1881, lo stanziamento di 2.000 fiorini per istituire un vivaio di viti
    americane resistenti alla fillossera. L’Agro aquileiese gode di un clima molto mite ed ha terreni
    morbidi e sabbiosi che sono ideali per il vivaismo. Ai primi del ‘900 (esattamente nel 1902) risale la
    creazione di un “Vivaio erariale” di piante madri (legno americano) nei pressi di Monfalcone che
    produceva 780.000 talee di Rupestris Monticola, cui seguì un nuovo impianto che portò la
    produzione a 1.500.0000 di viti americane. A S. Rocco, presso Gorizia, funzionava un vivaio
    provinciale. Ma fin dal 1889 le autorità austriache incoraggiarono la produzione di piante madri ed
    a tale epoca risalgono le prime barbatelle di York Madeira di Augusto Burba di Campolongo. Uno
    dei maggiori produttori di viti americane fu il barone Ritter de Zahoni di Monastero, nei pressi di
    Aquileia: aveva intuito lo sviluppo che il mercato delle piante madri avrebbe avuto e fin da 1890
    poteva fornire 150.000 talee. La Grande Guerra sommò poi le sue disgrazie a quella della fillossera.
    20
    Fu dopo il 1920 che tedeschi e austriaci scoprirono il potenziale che l’Agro aquileiese possedeva.
    Nei loro climi le viti americane facevano fatica a maturare. Portate invece nella zona di Aquileia, i
    risultati erano ben diversi. Furono quindi alcuni pionieri che, sotto il controllo delle grandi scuole
    tedesche e austriache, iniziarono a costruire quello che poi sarebbe diventato il vivaio più grande ed
    importante del mondo. Giovanni Battista Toppani, vivaista in quel di Ruda, fu il primo ad importare
    in Italia, con la sua azienda Toppani-Cetta, il Kober 5BB. Seguito dallo stesso prof. Kober dopo il
    1934 Bruno Busetti, che si era diplomato all’Istituto di Klosterneuburg, aprì un ufficio commerciale
    a Gorizia, mettendo in moto tutta una serie di collegamenti che avrebbero proiettato i vivaisti
    friulani sui mercati di tutta l’Europa del Nord. Negli anni ‘80, accanto a Toppani, erano arrivati altri
    vivaisti, come i Cosoto ed i Pinat. Net 1953 sorge il Consorzio Aquileia vivai, che raggruppa i
    vivaisti della zona che poi, nel 1965, si trasformerà nel Consorzio Tullio, presieduto dal senatore
    Tullio Altan. Quando il consorzio nasce si esportavano annualmente in Germania dai 25 ai 30
    milioni di talee di portainnesto, coltivate su oltre 250 ettari, le cui piante erano, ceppo per ceppo,
    catalogate e numerate. Inoltre, tutto il vivaio era dotato di reti antigrandine: era pura avanguardia.
    Un fatto è assodato: la nuova viticoltura del Nord-Europa, che come noi si stava leccando le ferite
    della fillossera e si stava conseguentemente rinnovando, poggia su radici friulane. Oltre il
    Tagliamento il seme per la nascita del secondo polo vivaistico era stato gettato nel 1920, quando la
    Cattedra Ambulante di Pordenone aveva promosso la costituzione del Vivaio cooperativo di Ronche
    di Fontanafredda, allo scopo di preparare le viti che sarebbero servite al ripopolamento dei vigneti
    friulani. Il 4 settembre del 1936 si costituiscono i Vivai cooperativi di Rauscedo e con loro si aprirà
    un nuovo, importante capitolo del vivaismo. Rauscedo, infatti, divenne protagonista sulla scena
    italiana e poi mondiale a partire dagli anni Sessanta quando intuì l’enorme mercato che si stava
    aprendo per le barbatelle innestate con la loro moltitudine di cloni. Seppe occupare gli spazi di
    mercato che gli si offrivano nell’Italia Centrale e del Sud, dove il rinnovamento viticolo era ancora
    in gran parte da fare.
    Arrivando ai giorni nostri, per quanto riguarda i vini bianchi, la produzione delle uve avviene dopo
    un’accurata selezione in cui sono sottoposte a pigiatura soffice e a fermentazione a temperatura
    controllata in assenza delle bucce proprio per esaltare i profumi tipici conferiti dai vitigni. Per le
    partite destinate a un più lungo affinamento in legno oppure in bottiglia prima dell’immissione al
    consumo, la vinificazione ottempera un contatto più o meno breve con le bucce, i vini che ne
    seguono risultano quindi più carichi di sostanze coloranti.
    Per quanto riguarda invece i vini rossi, il contatto con le bucce è fondamentale per l’estrazione della
    frazione polifenolica più importante per le caratteristiche dei rossi, il passaggio in legno è
    facoltativo, però ancora in parte utilizzato, si impiega anche una sapiente diversificazione delle
    partite al fine di ottenere un risultato finale il più equilibrato possibile, in tal caso è possibile che le
    tipologie che ne fanno uso possano presentare un caratteristico sentore di legno.
    Per quanto concerne l’aspetto strettamente tecnico e produttivo si sottolineano inoltre i seguenti
    fattori:
  • base ampelografica dei vigneti: i vitigni idonei alla produzione del vino in questione sono
    quelli tradizionalmente coltivati nell’area di produzione e dei quali è consentita la
    coltivazione nelle diverse unità amministrative. In particolare, sono state escluse dal
    presente Disciplinare le varietà che caratterizzano fortemente delle zone geografiche
    piccole, soprattutto autoctone, preferendo l’inserimento dei vitigni maggiormente diffusi
    anche commercialmente;
  • forme di allevamento: sono quelle tradizionali della zona: forme a spalliera verticale (Guyot,
    cordone speronato, ecc.); l’adozione della forma di allevamento è effettuata sia in base alla
    giacitura del terreno ed all’esigenza di agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia
    all’obiettivo enologico che il produttore intende perseguire;
    21
  • pratiche relative all’elaborazione dei vini: sono quelle tradizionalmente praticate in zona per
    la produzione di vini bianchi, rosati e rossi anche delle tipologie spumante. Tali pratiche
    rientrano nelle correnti pratiche enologiche previste e disciplinate dal Reg. Ce n. 606/2009.
    B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o
    esclusivamente attribuibili all'ambiente geografico.
    Categoria vino:
    I vini di cui al presente disciplinare di produzione presentano, dal punto di vista analitico ed
    organolettico, caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte all’articolo 6, tali da permetterne
    una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico. In particolare, tutti i vini
    bianchi e rossi presentano caratteristiche chimico-fisiche equilibrate in tutte le tipologie, mentre al
    sapore e all’odore si riscontrano aromi prevalenti tipici dei vitigni.
    La denominazione “Friuli” annovera ventuno tipologie di vini, quattordici tipologie di vini bianchi
    di cui dieci con indicazione di vitigno più il “bianco” e lo “spumante” e sette tipologie di vini rossi
    con sei ad indicazione del vitigno più il “rosso”.
    Non è prevista la menzione riserva per nessuna tipologia.
    I vini della DOC “Friuli”, presentano delle peculiari caratteristiche che sono attribuibili per la
    maggior parte al territorio inteso come ambiente pedoclimatico mentre l’intervento umano è
    responsabile del resto.
    Ciascuna tipologia è descritta da un punto di vista analitico ed organolettico nell’articolo 6, in
    questo articolo però non vengono riportati quei valori limite relativi al titolo alcolometrico totale
    massimo (in % vol), al titolo alcolometrico effettivo minimo (in % vol), all'acidità volatile massima
    (in milliequivalenti per litro) e al tenore massimo di anidride solforosa totale (in milligrammi per
    litro) come richiesto dall’art.26 del Regolamento CE n.607/2009, questi valori non sono stati
    indicati perché non riportano valori differenti a quelli stabiliti da suddetto Regolamento.
    Per quanto riguarda l’acidità totale, espressa come acido tartarico, in base alla normativa
    comunitaria non può essere inferiore al 3,5 g/L, ma nell’art.6 per tutte le varietà̀ è stato fissato il
    limite minimo di 4,0 g/L. Relativamente all’acidità volatile, espressa in acido acetico, questa, in
    base alla normativa comunitaria, non può essere superiore rispettivamente a 18 milliequivaleni per
    litro per i vini bianchi e a 20 milliequivalenti per litro per i vini rossi
    Il territorio della DOC “Friuli” conferisce ai vini bianchi un colore giallo paglierino con riflessi più
    o meno verdognoli o dorati oppure, nel caso del Pinot grigio è ammesso anche un riflesso ramato
    più o meno intenso. A livello gustativo la sensazione è gradevole, morbida, con profumi netti ed
    intensi che spaziano dal fruttato sostenuto al floreale fine ed elegante, l’equilibrio ed il corpo del
    vino rappresentano un marchio di fabbrica dei vini della DOC “Friuli” con una struttura che ne
    permette anche un lungo invecchiamento nel tempo.
    I vini rossi sono caratterizzati da un colore rosso rubino con diverse sfumature, il profumo è
    ammaliante e spicca per la gradevole finezza tendente all’erbaceo, a volte fruttato, allo speziato e
    dal caratteristico “bouquet”, molto asciutti con una tipica corposità.
    In bocca l’equilibrio è presente e molto importante, con una nota di astringenza presente in
    particolare per le varietà più vocate al lungo e lunghissimo invecchiamento, l’acidità è quindi
    sempre presente senza mai disturbare al palato.
    Le caratteristiche di questi vini sono determinate dall’influenza delle condizioni pedoclimatiche
    dell’areale di produzione, la cui interazione tra i terreni ben drenati con disponibilità idrica ed il
    clima temperato, fresco e ventilato, interagiscono con le importanti escursioni termiche tra il giorno
    e la notte durante tutta la fase di maturazione delle uve, in particolare quella che va dall’invaiatura
    alla vendemmia, il che permette di garantire un’ottimale maturazione dei grappoli che garantiscono
    all’uva sia un adeguato tenore zuccherino, unitamente alle altre caratteristiche qualitative ed
    organolettiche proprie delle varietà di viti coltivate nell’areale.
    Categoria vino spumante.
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    I vini della DOC “Friuli” nella categoria “vino spumante”, presentano delle acidità totali più
    marcate rispetto alle altre categorie, infatti il limite minimo è pari a 5,0 g/L, espresso come acido
    tartarico. Il territorio della denominazione conferisce a questi spumanti un colore giallo paglierino
    con diverse intensità, talvolta si possono raggiungere anche delle sfumature dorate. All’olfatto i
    sentori sono ampi e delicati, si possono trovare delle note floreali e fruttate nel caso della Ribolla
    gialla spumante ma sicuramente è molto spesso presente una intrigante nota di lievito data dalla
    rifermentazione in autoclave o bottiglia a seconda della tipologia tecnica prescelta.
    In bocca l’equilibrio di questi vini predomina su tutto il resto e viene spesso esaltato dalle
    caratteristiche note acidiche che ne rendono facilmente riconoscibili i vitigni utilizzati per la
    produzione. Si possono presentare inoltre in diversi tipi in relazione al tenore zuccherino che nelle
    categorie “vino spumante” variano dal “pas dosè” (dosaggio zero) all’”extra dry”.
    C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla
    lettera B).
    Categoria vino.
    L’interazione dei fattori ambientali e pedoclimatici descritti alla lettera A) con il fattore umano di
    cui alla lettera B) si realizzano nei vini della DOC “Friuli” o “Friuli Venezia Giulia” consentendone
    la migliore espressione e contribuendo sostanzialmente all’ottenimento di vini sia bianchi che rossi,
    particolarmente ricchi e dai profumi fini, adatti anche al medio-lungo affinamento e molto eleganti.
    Infatti, la pratica della viticoltura ha influito profondamente sull'aspetto del paesaggio della zona
    DOC “Friuli” o “Friuli Venezia Giulia”, oltre che sul livello economico e di sviluppo globale del
    territorio. Il legame causale tra il luogo ed il prodotto è essenzialmente rappresentato dall’influenza
    delle condizioni ambientali e naturali della zona di produzione, sulle caratteristiche qualitative delle
    uve e dei vini derivati.
    La millenaria storia vitivinicola della Regione Friuli-Venezia Giulia è la fondamentale prova della
    stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e la qualità e le peculiari
    caratteristiche del vino “Friuli” o “Friuli Venezia Giulia”. La viticoltura locale vanta una storia
    antica e ricca, attestata da numerosi documenti e testimonianze, le sue origini risalgono quanto
    meno alla colonizzazione romana. Dall’Impero Romano ad oggi queste terre sono state
    caratterizzate dalla produzione del vino, anche se tra alterne vicende storiche e umane. Infatti, la
    viticoltura locale è passata attraverso due millenni di storia senza grossi mutamenti fino all’inizio
    del XX secolo, quando ha subito un grosso cambiamento. Le ragioni di ciò sono riconducibili a un
    complesso insieme di cause e situazioni. Infatti, dalla metà del XIX secolo fino ai primi del XX
    secolo l’oidio, la peronospora, la fillossera e non ultimi i conflitti bellici, provocarono distruzioni
    tali da costringere l’intera viticoltura a cambiare volto. Altro fattore di forte espansione fu la
    conquista alla coltivazione della vite di nuovi terreni grazie alle opere di irrigazione realizzate in
    vaste aree.
    Gli aspetti morfologici, geologici, pedologici e climatici condizionano i sistemi di agricoltura nel
    loro complesso di elementi biologici e strutturali. L'analisi di tali aspetti diviene prioritaria nello
    studio del comprensorio del Friuli Venezia Giulia dove, una determinata pratica colturale, la
    viticoltura, ha assunto un ruolo determinante nel ridisegnare l'assetto ambientale di un'ampia fascia
    di territorio.
    La chiara vocazione viticola dei terreni ubicati tra le colline orientali che confinano con la Slovenia
    e la pianura friulana, e la professionalità dei viticoltori hanno così consentito alla regione Friuli
    Venezia Giulia di crescere in modo inequivocabile, ponendosi al vertice della produzione nazionale
    di qualità, sebbene producendo meno del 2,5% in volume.
    Questo risultato è stato reso possibile grazie alla concomitanza di vari fattori: la razionalità dei
    nuovi impianti secondo le più moderne tecniche colturali, la selezione dei vitigni più adatti
    all’ambiente di coltivazione ma soprattutto la lungimiranza di molti produttori che hanno puntato
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    principalmente sulla qualità, valorizzando la loro produzione e contribuendo a diffonderne la
    conoscenza.
    Per quanto riguarda i siti della pianura della denominazione “Friuli” è possibile dividerla tra est e
    ovest, a ovest il clima è tra i più caldi e di giorno il riscaldamento dovuto ai raggi solari è molto
    efficace per la scarsità di nebbie, ci sono buone escursioni termiche prevendemmiali e l’areale
    permette ottime qualità sia per i bianchi che per i rossi. I bianchi hanno caratteri varietali ben
    espressi, buone acidità e alcolicità, corpo snello ma armonico. Sono vini che giocano sulla
    freschezza e la fragranza, ma che hanno buona componente acidica. Chardonnay e Pinot grigio sono
    piacevoli e traggono i benefici dall’influsso del terreno e del clima, il Friulano è un vitigno che è
    molto coltivato e trae risultati molto soddisfacenti con una notevole eleganza. In questa zona
    spiccano i Sauvignon, molto equilibrati, dal colore giallo paglierino talvolta con riflessi verdognoli
    dai toni verdi caratteristici sentori al naso e di notevole struttura. Il Pinot bianco della pianura
    friulana è fragrante, raffinato e di ottima stoffa, infatti l’influsso del terreno sciolto ne accentua le
    caratteristiche aromatiche.
    La pianura a est si caratterizza per un terreno del tipo ferretto o assimilabili ad esso, quindi c’è una
    prevalenza di ghiaia ricoperta o mista ad uno strato di materiale terroso alterato di spessore dai 30 ai
    70 cm. Queste zone sono vocate per i vini bianchi che hanno buona acidità, freschezza e netta
    personalità varietale, oltre al Friulano, Chardonnay e Pinot grigio questa pianura vanta una
    Malvasia dal profumo delicatamente aromatico con note floreali e fruttate tipiche del vitigno e dal
    grande fascino. Non vanno dimenticati i rossi in questa zona, infatti i Cabernet franc e sauvignon, il
    Merlot e il Refosco, hanno un colore intenso quasi sanguigno, che si fanno, con rese contenute,
    molto ampi, profondi, dai tannini ben presenti ma dolci, in definitiva, dei vini di stoffa e di razza,
    che possono sostenere un buon affinamento in barrique per vini di sicuro invecchiamento, con una
    caratteristica aromatica data dalla ricchezza di sensazioni fruttate.
    La collina friulana si caratterizza a est per una prevalenza nei terreni delle marne eoceniche miste ad
    arenaria, che costituiscono il cosiddetto “Flysch di Cormòns”. In queste zone l’allevamento della
    vite è perlopiù il doppio capovolto, I terrazzamenti sono fitti e la viticoltura è impostata con il
    Guyot ad alta densità per ettaro. I vini ne traggono benefici avendo stoffa e ricchezza, con un
    grande carattere e suadenza. Il Friulano può diventare a volte opulento data la naturale pienezza e
    struttura. Il Pinot bianco ha un forte temperamento, è sapido, ampio ed avvolgente, sicuramente la
    Malvasia è intensa come pure il Merlot e i Cabernet, franc e sauvignon, che raggiungono una
    maturazione perfetta con vini dominati dai tannini dolci e sensazioni di frutta di sottobosco con
    sfumature erbacee e un’eccelsa potenza di gusto e di olfatto In queste zone i vini rossi sono vissuti
    in due maniere tra loro antitetiche: per un consumo rapido e quindi con vini che hanno nella facile
    beva e nelle sensazioni fruttate, avvolte da un colore rubino brillante il loro fascino, oppure con la
    volontà di ottenere grandi vini da invecchiamento affinati in barrique, che riesce a conferire ai rossi
    una sensazione di pienezza e profondità diventando capaci di una lunga vita per soddisfare anche i
    palati più esigenti in grado di sviluppare bouquets complessi e seducenti.
    A nord-est la Collina friulana è in grado di esprimere vini di grande personalità, con un elevato
    spessore, ricchi e carnosi. La Ribolla gialla è raffinata ed elegante, di non elevata alcolicità, fresca e
    purtuttavia ben articolata con un invitante scorrevolezza di beva. Il Verduzzo friulano di queste
    zone è pieno, molto strutturato, quasi vellutato, il colore è intenso quasi dorato, la potenzialità
    d’invecchiamento è elevatissima, infatti l’interazione del clima con il terreno, unita all’esperienza
    dei vignaioli ne fanno un marchio di garanzia.
    Le colline a nord e ad ovest della denominazione si caratterizzano per essere a ridosso delle Prealpi
    carniche e sulle correnti provocate dal Meduna e dal Cellina. In queste zone ci sono inverni e
    primavere fredde, quindi, il germogliamento e la raccolta sono tardive (anche di 10 giorni rispetto
    alle zone di pianura appena sottostanti) ci sono forti escursioni termiche prevendemmiali (14,15 °C)
    e notevole ventilazione, che rendono quest’area vocata ai vini bianchi, che hanno un carattere
    spiccato, ottime acidità e di pronta beva. Su tutti emerge il tipico profumo del Sauvignon, che qui
    trova uno dei siti più affascinanti e personali di tutto il Friuli. Queste zone influiscono anche sullo
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    Chardonnay e sul Pinot grigio che sono schietti e piacevoli con note fragranti e fresche con sentori
    floreali e fruttati.
    Tali condizioni rappresentano peraltro il presupposto su cui si basa la delimitazione della zona
    viticola comunitaria (CI-b), definita nell’appendice all’Allegato XI ter del Reg Ce 1234/07,
    all’interno della quale ricade la zona di produzione dei vini in questione.
    Tuttavia, il territorio della DOC “Friuli”, pur legato alla tradizione, ha perseguito l’innovazione
    tecnologica sia in vigneto che in cantina come pure un costante miglioramento tecnico negli ultimi
    30 anni, consentendo ulteriori progressi dal punto di vista qualitativo. Tra i principali possiamo
    indicare:
    • il contenimento delle produzioni anche attraverso la pratica del diradamento in vigneto, e la
    raccolta dell’uva solo al raggiungimento del migliore equilibrio aromatico e fenolico;
    • il condizionamento termico dei locali di lavorazione e dei vasi vinari per meglio governare i vari
    processi chimico-fisici;
    • la selezione delle forme di allevamento a spalliera verticale più idonee alla viticoltura di qualità;
    • la salvaguardia dei biotipi di vigneti antichi, salvando le vecchie varietà ed utilizzando la selezione
    massale al posto della selezione clonale;
    • il miglioramento ed il rinnovo dei vasi vinari con largo utilizzo dell’acciaio inox, che garantisce
    superfici più facilmente lavabili, nelle prime fasi della vinificazione, e di botti e barriques per
    l’affinamento, con diversità stilistiche tra i vari produttori quanto a scelta di legni, volumi e numero
    di passaggi ma sempre cercando un buon equilibrio finale.
    Pertanto, le peculiari caratteristiche qualitative dei vini DOC “Friuli” sono dovute all’interazione
    dell’ambiente naturale con i fattori umani di tradizione e conoscenza nei processi di coltivazione,
    vinificazione ed affinamento. In particolare, i produttori hanno perseguito delle scelte altamente
    qualitative per la produzione delle uve (controllo delle rese, innovamento tecnologico) e per
    l’elaborazione dei vini DOC “Friuli”, limitando o anche spesso rinunciando all’utilizzo della pratica
    dell’arricchimento.
    In conclusione, le peculiarità di questa zona di produzione, unite al sapere tramandato tra i vignaioli
    di generazione in generazione ed all’accurato intervento dell’uomo sia in vigneto che in cantina,
    consentono al vigneto “Friuli”, di esprimere le sue migliori caratteristiche nelle uve e nel vino che
    ne deriva.
    Categoria vino spumante.
    Le categorie Spumante, nel disciplinare della DOC “Friuli” sono quattro, la Ribolla gialla
    spumante, la Ribolla gialla spumante metodo classico, lo Spumante e lo Spumante metodo classico.
    L’areale di produzione di questa categoria è il medesimo della categoria vino.
    Le varietà ammesse per la costituzione della Ribolla gialla spumante sono la Ribolla gialla in
    purezza oppure con il taglio migliorativo del 15% possono concorrere, le uve, mosti e vini di altri
    vitigni a bacca di colore analogo, idonei alla coltivazione per le province di Trieste, Gorizia, Udine
    e Pordenone ad eccezione dei Moscati, del Muller Thurgau e del Traminer. Per quanto riguarda lo
    Spumante e lo Spumante metodo classico, sono ammesse le varietà Chardonnay, Pinot bianco,
    Pinot grigio, Pinot nero (vinificato in bianco), da soli o congiuntamente.
    La Ribolla gialla è un vitigno che ha trovato nella sua storia millenaria, il miglior adattamento negli
    areali di collina in cui può aumentare la propria struttura ed affinare la parte aromatica, per quanto
    riguarda la tipologia Spumante, essendo questa categoria caratterizzata dalla rifermentazione in
    autoclave oppure in bottiglia viene, solitamente vendemmiata in anticipo rispetto alla categoria vino
    fermo, al fine di garantire al prodotto finito una maggiore acidità ed un grado alcolico equilibrato,
    proprio per questi motivi la Ribolla spumante riesce trovare delle espressioni qualitative molto
    valide in tutti i terreni e climi, sia in quelli di pianura che in quelli di collina.
    Le varietà che sono utilizzate per le basi spumante dello Spumante, che sono Chardonnay, Pinot
    bianco, Pinot grigio, Pinot nero (vinificato in bianco), hanno trovato nei terreni e nei climi della
    DOC “Friuli” un areale particolarmente vocato.
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    La pianura riesce ad esprimere le potenzialità aromatiche del Chardonnay e del Pinot bianco,
    esaltando l’eleganza degli aromi secondari e terziari in tutte le annate, anche in quelle più calde e
    siccitose. La collina è in grado di accentuare il corpo di questi vini, migliorando la concentrazione
    degli acidi e dei sali minerali, facendo leggermente innalzare la concentrazione zuccherina assieme
    ai precursori aromatici che sono in grado, dopo la fermentazione alcolica di caratterizzare questi
    Spumanti per una componente aromatica più complessa e persistente, data anche dagli aromi
    secondari sviluppatisi durante la fermentazione che conferiscono complessità e profondità ai vini
    Spumanti e Spumanti metodo classico della DOC “Friuli”.
    Articolo 10
    Riferimenti alla struttura di controllo
  1. Nome e Indirizzo: CEVIQ s.r.l. - Certificazione Vini E Prodotti Italiani di Qualità.
    Via A. Bortolassi, 1
    33040 PRADAMANO (UD)
    Tel. +039 0432 510619
    Fax +039 0432 288595
    E- mail: info@ceviq.it
  2. CEVIQ s.r.l. – Certificazioni Vini e prodotti Italiani di Qualità - società per la certificazione delle
    qualità e delle produzioni vitivinicole italiane - è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero
    delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, ai sensi dell’articolo 64 della legge n.
    238/2016, che effettua la verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare,
    conformemente all’articolo 19, par. 1, 1° capoverso, lettera a) e c), ed all’articolo 20 del Reg. UE n.
    34/2019, per i prodotti beneficianti della DOP, mediante una metodologia dei controlli (sistematica
    ed a campione) nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento),
    conformemente al citato articolo 19, par. 1°, 2° capoverso.
    In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli,
    approvato dal Ministero, conforme al modello approvato con il DM 2 agosto 2018, pubblicato sulla
    Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana in G.U. n. 253 del 30.10.2018.
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