Roma Doc

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Regione

Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste
DIPARTIMENTO DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE E DELL’IPPICA
DIREZIONE GENERALE PER LA PROMOZIONE DELLA QUALITÀ AGROALIMENTARE
PQA I
DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DELLA
DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA
DEI VINI «ROMA»
Approvazione / Modifica Pubblicazione
Approvato con Decreto 02.08.2011 G.U.R.I. – Serie generale – n. 194 – 22.08.2011
Modificato con Decreto 30.11.2011 G.U.R.I. – Serie generale – n. 295 – 20.12.2011
Modificato con Decreto 07.03.2014 Sito internet del Ministero – Qualità – Vini DOP e IGP
Modificato con Regolamento di G.U.U.E. – L – n. 290/1 – 11.11.2019
esecuzione (UE)
2019/1876 della
Commissione del
04.11.2019
Modificato con Decreto 13.03.2025 G.U.R.I. – Serie generale – n. 73 – 28.03.2025
G.U.U.E. – C – 26.06.2025 (C/2025/3452)
Articolo 1
Denominazione e vini
La denominazione di origine controllata «Roma» è riservata ai vini che rispondono alle condizioni ed ai
requisiti prescritti dal presente disciplinare di produzione come di seguito indicati:
a) categoria vino, per le seguenti tipologie:

  • “bianco”, anche nella versione amabile;
  • “bianco” riserva;
  • “rosso”, anche nella versione amabile;
  • “rosso riserva”;
  • “rosato”;
  • “Malvasia puntinata”;
  • “Bellone”;
    b) categoria vino spumante, per le seguenti tipologie:
  • “spumante”;
  • “spumante rosato”.
    La specificazione “classico” è consentita per i vini della zona di origine più antica indicata nell’ultimo
    comma dell’articolo 3, ad esclusione della tipologia “spumante”.
    Articolo 2
    Base ampelografica dei vigneti
    La denominazione di origine controllata «Roma» è riservata ai vini ottenuti da uve provenienti da vigneti
    composti, in ambito aziendale, dalla seguente composizione ampelografica:
    a) Bianco e spumante:
  • Malvasia del Lazio non meno del 50%;
  • Bellone, Bombino, Greco b., Trebbiano giallo, Trebbiano verde da soli o congiuntamente
    per almeno il 35%.
    Possono concorrere altri vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione per la Regione Lazio sino
    a un massimo del 15%.
    b) Rosso, rosato e spumante rosato:
  • Montepulciano non meno del 50%;
  • Cesanese comune, Cesanese di Affile, Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc,
    Syrah da soli o congiuntamente per almeno il 35%.
    Possono concorrere altri vitigni a bacca rossa idonei alla coltivazione per la Regione Lazio sino
    a un massimo del 15%.
    La denominazione di origine «Roma» con la specificazione di uno dei seguenti vitigni:
  • Malvasia puntinata;
  • Bellone;
    è riservata ai vini bianchi ottenuti da uve provenienti da vigneti costituiti, in ambito aziendale, per
    almeno l’85% dai corrispondenti vitigni. Possono concorrere altri vitigni a bacca bianca idonei alla
    coltivazione per la Regione Lazio sino a un massimo del 15%.
    Articolo 3
    Zona di produzione delle uve
    La zona di produzione delle uve per l’ottenimento dei vini designati con la denominazione «Roma»,
    comprende l’intero territorio dei seguenti comuni ricadenti in provincia di Roma:
  • Affile, Albano Laziale, Allumiere, Anguillara Sabazia, Anzio, Arcinazzo Romano, Ardea,
    Ariccia, Bracciano, Campagnano di Roma, Canale Monterano, Capena, Castel Gandolfo,
    Castelnuovo di Porto, Cave, Cerveteri, Ciampino, Civitavecchia, Colonna, Fiano Romano,
    Fonte Nuova, Formello, Frascati, Gallicano nel Lazio, Genazzano, Genzano di Roma,
    Grottaferrata, Guidonia Montecelio, Ladispoli, Lanuvio, Lariano, Manziana, Marcellina,
    Marino, Mentana, Monte Compatri, Monte Porzio Catone, Montelibretti, Monterotondo,
    Montorio Romano, Moricone, Morlupo, Nemi, Nerola, Nettuno, Olevano Romano, Palestrina,
    Palombara Sabina, Pomezia, Rocca di Papa, Rocca Priora, Roiate, San Cesareo, San Polo dei
    Cavalieri, San Vito Romano, Santa Marinella, Sant’Angelo Romano, Tolfa, Trevignano
    Romano, Velletri, Zagarolo;
    e parte dei seguenti comuni:
  • Artena per la sola isola amministrativa compresa tra il confine di Lariano, Velletri e la
    provincia di Roma/Latina;
  • Fiumicino ad esclusione dell’isola Sacra;
  • Roma ad esclusione dell’area interna al GRA e di quella compresa tra il tratto del GRA che in
    prossimità dell’incrocio con la via del Mare interseca il fiume Tevere e prosegue lungo il
    tracciato dello stesso fino alla diramazione del “canale di porto” raggiungendo la costa
    tirrenica. Da questo punto si segue la costa in direzione sud raggiungendo il confine
    amministrativo del comune di Pomezia; si segue tale confine fino ad incrociare la via
    Laurentina; da questo incrocio si prosegue in direzione nord fino ad incrociare il GRA.
    La zona di produzione delle uve per l’ottenimento dei vini designati all’art. 1 con la menzione “classico”,
    comprende esclusivamente la parte del territorio del comune di Roma di cui sopra.
    Articolo 4
    Norme per la viticoltura, rese e caratteristiche qualitative delle uve
    Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini di cui all’art. 1 devono
    essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire alle uve e ai vini derivanti le specifiche
    caratteristiche di qualità.
    La produzione massima di uva per ettaro di vigneto in coltura specializzata, nell’ambito aziendale, non
    deve essere superiore, anche per le tipologie con la specificazione del vitigno, ai limiti sotto indicati:
    • Bianco, Bellone, Malvasia puntinata, spumante:
    tonnellate 12
    • Rosso, rosato e spumante rosato: tonnellate 10
    A tale limite, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la produzione dovrà essere riportata ai limiti
    di cui sopra, purché quella globale del vigneto non superi del 20% il limite medesimo.
    Le uve destinate alla produzione dei vini a denominazione «Roma», seguita o meno dal riferimento al
    vitigno, devono assicurare al vino un titolo alcolometrico volumico naturale minimo di:
  • 11% per i vini bianchi;
  • 11,5% per i vini rossi e rosati;
  • 9,5% per i vini spumante e spumante rosato.
    I sesti d’impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati
    e atti a conferire alle uve e ai vini caratteristiche di qualità.
    I sesti di impianto, per i nuovi vigneti impiantati a partire dal 1° gennaio 2026, devono garantire un
    numero minimo di 4.000 ceppi per ettaro sul sesto d’impianto in coltura specializzata.
    È vietata ogni pratica di forzatura; è tuttavia ammessa l’irrigazione di soccorso.
    Articolo 5
    Norme per la vinificazione e imbottigliamento in zona delimitata e invecchiamento
    Le operazioni di vinificazione, spumantizzazione e imbottigliamento dei vini a denominazione di cui
    all’art.1, devono essere effettuate all’interno del territorio di cui all’art. 3, compresi i territori dei comuni
    di Aprilia e Cisterna di Latina, in provincia di Latina.
    Conformemente alla normativa vigente, l’imbottigliamento deve aver luogo nella predetta zona
    geografica delimitata per salvaguardare la qualità e assicurare l’efficacia dei controlli. Tuttavia, in
    conformità alla normativa vigente, a salvaguardia dei diritti precostituiti dei soggetti che
    tradizionalmente hanno effettuato l’imbottigliamento al di fuori dell’area di produzione delimitata, sono
    previste autorizzazioni individuali.
    Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche atte a conferire ai vini le proprie peculiari
    caratteristiche.
    La resa massima dell’uva in vino finito, pronto per il consumo, non deve essere superiore al 70% per
    tutti i tipi di vino.
    Qualora la resa uva/vino superi i limiti di cui sopra, ma non oltre il 75%, l’eccedenza non ha diritto ad
    alcuna denominazione; oltre il 75% di resa, decade il diritto alla denominazione di origine controllata
    per tutto il prodotto.
    Le tecniche di spumantizzazione per l’elaborazione delle tipologie “spumante” e “spumante rosato” sono
    quelle consentite per la categoria dei vini spumanti dalla legislazione vigente. In particolare,
    l’elaborazione dei vini spumanti è effettuata mediante fermentazione in autoclave («metodo Martinotti
    o Charmat») oppure in bottiglia («metodo classico»).
    La tipologia «Roma» rosso riserva deve essere sottoposto ad un periodo di invecchiamento non inferiore
    a 24 mesi dalla vendemmia (decorrenza anno vendemmia 1° novembre), di cui almeno 9 mesi in
    recipienti di legno di capacità non inferiore ai 499 litri.
    La tipologia «Roma» bianco riserva deve essere sottoposta ad un periodo di invecchiamento non
    inferiore a 12 mesi dalla vendemmia (decorrenza anno vendemmia 1° novembre) di cui almeno 4 mesi
    di affinamento in bottiglia.
    Articolo 6
    Caratteristiche dei vini al consumo
    I vini a Denominazione di Origine Controllata «Roma» di cui all'art. 1 devono rispondere, all'atto
    dell'immissione al consumo, alle seguenti caratteristiche:
    Bianco – Classico bianco:
    colore: giallo paglierino talvolta con riflessi verdognoli;
    odore: delicato, etereo;
    sapore: da secco ad abboccato, sapido, armonico talvolta con note floreali e fruttate;
    titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol;
    acidità totale minima: 4,5 g/l;
    estratto non riduttore minimo: 19,0 g/l.
    Bianco amabile – Classico bianco amabile:
    colore: giallo paglierino talvolta con riflessi verdognoli;
    odore: fruttato, delicato, fine;
    sapore: amabile, sapido, armonico;
    titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol;
    acidità totale minima: 4,5 g/l;
    estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l.
    Bianco riserva – Classico bianco riserva:
    colore: giallo paglierino più o meno intenso;
    odore: delicato, etereo;
    sapore: da secco ad abboccato, armonico;
    titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol;
    acidità totale minima: 4,5 g/l;
    estratto non riduttore minimo: 19,0 g/l.
    Bellone – Classico Bellone:
    colore: giallo paglierino con talvolta riflessi verdognoli;
    odore: caratteristico della varietà, fine, gradevole con note floreali e fruttate;
    sapore: da secco ad abboccato, equilibrato, sapido, gradevole;
    titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol;
    acidità totale minima: 4,5 g/l;
    estratto non riduttore minimo: 19,0 g/l.
    Malvasia puntinata – Classico Malvasia puntinata:
  • colore: giallo paglierino più o meno intenso;
  • odore: caratteristico della varietà, gradevole, fine, con note floreali e fruttate;
  • sapore: da secco ad abboccato, equilibrato, morbido;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol;
  • acidità totale minima: 4,5 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 19,0 g/l.
    Rosso – Classico rosso:
  • colore: rosso rubino con riflessi violacei anche tendenti al granato con l’invecchiamento;
  • odore: caratteristico, intenso;
  • sapore: da secco ad abboccato, armonico, buona struttura e persistenza;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol;
  • acidità totale minima: 4,5 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 27,0 g/l.
    Rosso amabile - Classico rosso amabile:
  • colore: rosso rubino con riflessi violacei;
  • odore: armonico, fruttato e intenso;
  • sapore: amabile, persistente, armonico;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 13,00 % vol.;
  • acidità totale minima: 4,5 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 24,00 g/l.
    Rosso riserva - Classico rosso riserva:
  • colore: rosso rubino con riflessi violacei anche tendenti al granato con l’invecchiamento;
  • odore: intenso e caratteristico di sentori fruttati e/o speziati;
  • sapore: da secco ad abboccato, armonico, buona struttura e persistenza;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 13,00% vol;
  • acidità totale minima: 4,5 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 27,0 g/l.
    Rosato – Classico rosato:
  • colore: rosato più o meno intenso;
  • odore: delicato, fine, con note floreali e fruttate;
  • sapore: da secco ad abboccato, fresco, fruttato, sapido;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol;
  • acidità totale minima: 4,5 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 18,0 g/l.
    Spumante:
  • spuma: fine e evanescente;
  • colore: giallo paglierino tenue;
  • odore: caratteristico, delicato, fine, con sentore di lievito;
  • sapore: fresco ed equilibrato, da dosaggio zero a extradry;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol;
  • acidità totale minima: 5,0 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l.
    Spumante rosato:
  • spuma: fine e evanescente;
  • colore: rosato più o meno intenso;
  • odore: delicato, fine;
  • sapore: da dosaggio zero a extradry;
  • titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol;
  • acidità totale minima: 5,0 g/l;
  • estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l.
    In relazione alla conservazione in recipienti di legno, all’odore e/o sapore si può rilevare live sentore di
    legno.
    In relazione alla fermentazione o rifermentazione in bottiglia, per i vini spumanti, si possono riscontrare
    alla vista delle velature.
    Articolo 7
    Etichettatura e presentazione
    Alla denominazione di origine controllata «Roma» è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione
    diversa da quelle previste dal presente disciplinare di produzione, ivi compresi gli aggettivi extra, ad
    eccezione della tipologia spumante, fine, scelto, selezionato, superiore e similari.
    È tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali e marchi privati
    purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno il consumatore.
    Nella designazione e presentazione del vino per tutte le tipologie previste dal presente disciplinare, deve
    figurare l'annata di produzione delle uve esclusa la tipologia spumante.
    Per la tipologia “spumante” è ammessa la menzione “Romanella spumante”.
    È fatto divieto dell’utilizzo delle diciture «secco», «amabile» e «abboccato» sulle tipologie:
  • “bianco” e “Classico bianco”;
  • “bianco” riserva e “Classico bianco” riserva;
  • “rosso” e “Classico rosso”;
  • “rosso” riserva e “Classico rosso” riserva;
  • “rosato” e “Classico rosato”;
  • “Malvasia puntinata” e “Classico Malvasia puntinata”;
  • “Bellone” e “Classico Bellone”.
    Articolo 8
    Confezionamento e presentazione
    I vini di cui all’art. 1 devono essere immessi al consumo soltanto in bottiglie di vetro di volume nominale
    fino a 12 litri con formati di ml 187, ml 250, ml 375, ml 750, ml 1.500, ml 3.000, ml 4.500, ml 6.000 e
    ml 12.000.
    I sistemi di chiusura delle bottiglie sono quelli ammessi dalla legislazione vigente, con l’esclusione del
    tappo corona.
    Per i vini spumanti sono previsti i sistemi di chiusura consentiti dalla normativa vigente.
    Articolo 9
    Legame con l’ambiente geografico
    A) Informazioni sulla zona geografica.
  1. Fattori naturali rilevanti per il legame.
    La zona geografica delimitata ricade nella parte centrale della regione Lazio, si estende su una superficie
    di circa 330.000 ettari e comprende i territori litoranei, la Sabina romana, i Colli Albani, i Colli Prenestini
    e parte della Campagna romana, in provincia di Roma.
    I terreni dell’area, risalenti al Quaternario, sono riconducibili a due principali unità geologiche: le
    formazioni sedimentarie e le formazioni vulcaniche. Nella prima, presente nelle aree pianeggianti della
    valle del Tevere e dell’Aniene, si hanno i sedimenti marini del Pliocene e Pleistocene inferiore costituiti
    da un substrato di sedimenti alluvionali e marini, quali travertini, sabbie, ghiaie, limi a volte coperti da
    depositi alluvionali recenti: procedendo verso il litorale si trovano depositi formatisi in ambiente fluvio-
    palustre costituiti da alternanze di livelli sabbiosi, sabbioso-argillosi e da formazioni di natura
    travertinosa, che progressivamente sono sostituiti da argille di ambiente batiale e circalitorale, sabbie e
    calcareniti di ambiente infralitorale, sabbie di ambiente costiero con vulcaniti albane intercalate e sabbie
    di ambiente eolico e fluviale (“Duna antica”).
    Nella seconda, le manifestazioni vulcaniche del complesso Sabatino e del Vulcano laziale della fine del
    Pliocene, caratterizzate da fenomeni esplosivi, hanno generato terreni formati da vari tipi di tufo a cui si
    sono sovrapposti ceneri e lapilli depositati in strati di notevole spessore e cementati in misura diversa.
    Si possono distinguere: pozzolane (localmente dette "terrinelle"), cioè ceneri vulcaniche del tutto prive
    di cementazione: si riscontrano nelle zone più lontane dalle bocche di eruzione e danno luogo a terreni
    sabbiosi, profondi, permeabili all'acqua e senza ristagni né superficiali né profondi; tufi litoidi, più o
    meno duri, derivati dalla cementazione delle ceneri e dei lapilli, con diverse denominazioni locali
    (cappellacci, cappellacci teneri, occhio di pesce, occhio di pernice, ecc.), coprono la parte maggiore del
    territorio considerato. Sono di scarsa o nulla permeabilità all'acqua e alle radici ed è necessario pertanto
    procedere a scassi profondi per permettere agli agenti atmosferici di attivare la pedogenesi e mettere a
    disposizione delle colture, in particolare della vite, uno strato sufficiente di terreno agrario per lo
    sviluppo radicale e la nutrizione idrica e minerale; rocce laviche, dure, poco attaccabili dai mezzi
    meccanici e dagli agenti atmosferici. Coprono una minima parte del territorio in zone vicine ai crateri di
    eruzione. In generale danno origine a terreni di scarso spessore dove s’insedia il pascolo o il bosco;
    alluvioni recenti formatesi nelle zone pianeggianti per deposito alluvionale proveniente dalle pendici
    sovrastanti. I terreni derivati sono profondi, tendenzialmente argillosi, spesso umidi. Sono anche presenti
    calcari bianchi e avana con componente organogena e detritica (resti di bivalvi e alghe calcaree), marne
    contenenti una sensibile quantità di argilla, prevalentemente nella parte superiore del terreno, e
    formazioni Argilloso-Arenacee, composte da un’alternanza di argille e arenarie che sono preponderanti
    verso l’alto della formazione, dove si passa da una giacitura stratificata a una massiva.
    L’altitudine dei terreni coltivati a vite è compresa tra i 0 e i 600 m s.l.m., con pendenza variabile:
    l’esposizione generale è orientata verso ovest, sudovest e sud.
    Il clima dell’area è di tipo temperato-mediterraneo ed è caratterizzato da precipitazioni medie annue
    comprese tra i 810 ed i 1233 mm, più copiose nelle zone più acclivi, con aridità estiva nei mesi luglio,
    agosto (pioggia 73-147 mm), più pronunciata e presente anche nel mese di giugno, e sporadicamente
    anche a maggio, alle quote più basse. La temperatura media è compresa tra i 12,8 ed i 15,6°C: freddo
    prolungato da novembre ad aprile, più intenso nelle zone acclivi, con temperatura media inferiore ai
    10°C per 3-4 mesi l’anno e temperatura media minima del mese più freddo dell’anno che oscilla tra 2,3
    e 4,0° C.
    La combinazione tra natura del terreno e fattori climatici fanno della zona delimitata come DOC Roma
    un territorio altamente vocato alla produzione di vini di pregio.
  2. Fattori umani rilevanti per il legame.
    Di fondamentale rilievo sono i fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata
    tradizione hanno contribuito ad ottenere il vino «Roma».
    I Romani fin dall'epoca dei re appresero dagli Etruschi le tecniche vitivinicole: nel II° secolo a.C: la
    vitivinicoltura raggiunse livelli molto elevati ed il vino era consumato anche in locali pubblici di vendita
    (thermopolia). Molto rilevante era l'esportazione, tanto che il porto di Ostia divenne un vero emporio
    vinario. Con la crisi dell'Impero romano (III-IV secolo d.C) causata dalle lotte interne, dalle invasioni
    dei barbari, dal disordine politico e amministrativo e dall'insicurezza pubblica, iniziò anche il declino
    della viticoltura: molti agricoltori, inoltre, estirpavano i vigneti per non subire le forti tasse cui erano
    assoggettati, tanto che nel IV secolo l'imperatore Teodosio, per frenare questo fenomeno, decise la pena
    di morte per chi - sacrilega falce - tagliava le viti. Verso la fine dell’Impero Romano di Occidente, la
    superficie viticola aveva subito una sensibile riduzione, mantenendosi in prevalenza nelle aree vicine
    alla città di Roma. Dopo la caduta dell’Impero Romano di Occidente, tra il V e il X secolo, un importante
    contributo alla conservazione ed al miglioramento del patrimonio vitivinicolo venne dato dai vescovi,
    dai monaci, dagli ordini religiosi e dalla nobiltà laica. Con la fine della barbarie, la viticoltura si diffuse
    nuovamente e si razionalizzò fino a diventare la coltura principale, grazie anche alla grande richiesta di
    vino di Roma, sede della corte papale e teatro di un forte aumento della popolazione.
    Nei territori soggetti allo Stato Pontificio la viticoltura fu una delle coltivazioni primarie ed i Papi le
    dedicarono particolare attenzione per il gran conto in cui tenevano il vino, sia come elemento liturgico, sia
    come parte essenziale della loro mensa, sia infine, ma certo non da ultimo, per il suo valore commerciale.
    Tanto importante è il vino nella mentalità dell’epoca, che negli statuti della città di Roma si trova scritto
    che un forestiero non poteva usufruire del diritto di cittadinanza, se non possedeva una casa dentro Roma
    ed anche una vigna nel raggio di tre miglia dalla città.
    Al 1692 risale la fondazione di un’Accademia dei Vignaioli e la stesura di una pianta dell’agro romano
    voluta da papa Alessandro VII, dalla quale risulta che l’estensione delle vigne che circondavano Roma
    era di circa 4839 rubbi (8945 ettari).
    I Papi proteggono con appositi editti la vite, si registra un prosperare di osterie e locande dettato dalla
    presenza del Papa e dall’affluenza di pellegrini. L’importanza del commercio del vino è dimostrata
    anche dall’esistenza di ben sette corporazioni. I membri della corporazione o Università dei Tavernieri,
    che risaliva al 1481, si dividevano in Tavernieri, che fornivano anche alloggio e Bettolieri, cioè mercanti
    al minuto soltanto di vino romanesco e dell’agro romano. A Pio IX si deve l’aver fatto nascere, nel 1854,
    l’Università dei mercanti di vino, riunendo così in un unico organismo le troppe associazioni esistenti.
    Stemma di questo Collegium Vinariorum Urbis era un sole che dava luce ad una vite con la scritta “vinea
    nostra floruit”, stemma che si conserva ancora oggi nel cortile della chiesa di Santa Maria in Trivio.
    Nei corso dei secoli la viticoltura ha mantenuto il ruolo di coltura principe del territorio, fino all’attualità,
    come testimoniano le numerose sagre e feste che annualmente vengono celebrate nei paesi ricadenti
    nell’areale di produzione e tra cui spiccano la Sagra dell’uva di Marino (la prima edizione risale al 1925)
    e la Festa dell’uva e dei vini di Velletri (1930).
    L’incidenza dei fattori umani, nel corso della storia, è in particolare riferita alla puntuale definizione dei
    seguenti aspetti tecnico produttivi, che costituiscono parte integrante del vigente disciplinare di
    produzione:
  • base ampelografica dei vigneti: i vitigni idonei alla produzione del vino in questione, sono quelli
    tradizionalmente coltivati nell’area geografica considerata: la Malvasia del Lazio, il Bellone, il
    Bombino bianco ed il Trebbiano giallo e verde per i vini bianchi, il Montepulciano, il Cesanese di
    Affile, il Cesanese Comune, il Sangiovese per i vini rossi;
  • le forme di allevamento, i sesti d’impianto e i sistemi di potatura che, anche per i nuovi impianti,
    sono quelli tradizionali e tali da perseguire la migliore e razionale disposizione sulla superficie
    delle viti, sia per agevolare l’esecuzione delle operazioni colturali, sia per consentire la razionale
    gestione della chioma, permettendo di ottenere una adeguata superficie fogliare ben esposta e di
    contenere le rese di produzione di vino entro i limiti fissati dal disciplinare (84 hl/ha per le
    tipologie bianche e 70 hl/ha per le tipologie rosse e rosate);
  • le pratiche relative all’elaborazione dei vini, che sono quelle tradizionalmente consolidate in
    zona per la vinificazione in rosso dei vini tranquilli, adeguatamente differenziate per la tipologia
    di base e le tipologie riserva e superiore, riferite quest’ultime a vini rossi maggiormente strutturati,
    la cui elaborazione comporta determinati periodi di invecchiamento ed affinamento in bottiglia
    obbligatori.
    B) Informazioni sulla qualità o sulle caratteristiche del prodotto essenzialmente o esclusivamente
    attribuibili all'ambiente geografico.
    La D.O.C. «Roma» è riferita a undici tipologie di vino bianco (“bianco”, “Classico bianco”, “bianco
    riserva”, “Classico bianco riserva”, “bianco amabile”, “Classico bianco amabile”, “Bellone”, “Classico
    Bellone”, “Malvasia puntinata”, “Classico Malvasia puntinata”, “spumante”), a tre tipologie di vino
    rosato (“rosato”, “Classico rosato”, “spumante rosato”) e a sei tipologie di vino rosso (“rosso”, “Classico
    rosso”, “rosso amabile”, “Classico rosso amabile”, “rosso Riserva”, “Classico rosso Riserva”) che dal
    punto di vista analitico ed organolettico presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari, descritte
    all’articolo 6 del disciplinare, che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata
    all’ambiente geografico.
    Nello specifico le singole tipologie di vino si caratterizzano:
  • «Roma» bianco – Classico bianco: vino fresco ed equilibrato, con colore giallo paglierino talvolta
    con riflessi verdognoli, odore delicato etereo con note floreali e fruttate, sapore da secco ad
    abboccato, sapido e armonico.
  • «Roma» bianco amabile – Classico bianco amabile: vino dal colore giallo paglierino con riflessi
    verdognoli, odore delicato fine, con note floreali e frutta esotica, sapore armonico, sapido.
  • «Roma» bianco riserva – Classico bianco riserva: vino di colore giallo paglierino più o meno
    intenso, odore delicato etereo con sapore da secco ad abboccato e armonico.
  • «Roma» Bellone – Classico Bellone: vino fresco ed equilibrato, con colore giallo paglierino
    talvolta con riflessi verdognoli, odore caratteristico della varietà, gradevole con note floreali e
    fruttate, sapore da secco ad abboccato, equilibrato, sapido, gradevole.
  • «Roma» Malvasia puntinata – Classico Malvasia puntinata: vino fresco ed equilibrato, con colore
    giallo paglierino più o meno intenso, odore caratteristico della varietà, gradevole con note floreali
    e fruttate, sapore da secco ad abboccato, equilibrato, morbido.
  • «Roma» rosso – Classico rosso: buona struttura e presenza di buone dotazioni polifenoliche e
    tanniche polimerizzate, che conferiscono al vino un giusto corpo e assenza di ruvidezza. Il vino
    presenta un colore rosso rubino con riflessi violacei anche tendenti al granato con
    l’invecchiamento, odore intenso e caratteristico con sentori fruttati, sapore da secco ad abboccato,
    armonico con buona struttura e persistenza.
  • «Roma» rosso amabile – Classico rosso amabile: vino dal colore rosso rubino con riflessi violacei,
    odore armonico, fruttato intenso, con note speziate, sapore persistente.
  • «Roma» rosso Riserva – Classico rosso Riserva: buona struttura e presenza di buone dotazioni
    polifenoliche e tanniche polimerizzate, che conferiscono al vino un giusto corpo, assenza di
    ruvidezza e buona longevità. Il vino presenta un colore rosso rubino con riflessi violacei anche
    tendenti al granato con l’invecchiamento, odore intenso e caratteristico con sentori fruttati che
    sfumano a favore di quelli speziati o fenolici associabili al legno, sapore da secco ad abboccato,
    armonico con buona struttura e persistenza.
  • «Roma» rosato – Classico rosato: leggero di corpo, fresco, vivace, con colore rosato più o meno
    intenso, odore delicato, fine, sapore da secco ad abboccato, fresco, fruttato, sapido.
  • «Roma» spumante: vino fresco ed equilibrato, con colore giallo paglierino tenue con perlage fine
    ed evanescente, odore caratteristico delicato fine sentore di lievito, sapore vivace e armonico, da
    dosaggio zero a extradry.
  • «Roma» spumante rosato: leggero di corpo, fresco, vivace, con colore rosato più o meno intenso
    con perlage fine ed evanescente, odore delicato e fine, sapore armonico, vivace da dosaggio zero a
    extradry.
    Al sapore tutti i vini presentano un’acidità normale, un amaro poco percepibile, poca astringenza e buona
    struttura, che contribuiscono al loro equilibrio gustativo.
    C) Descrizione dell'interazione causale fra gli elementi di cui alla lettera A) e quelli di cui alla lettera
    B).
    L’orografia pianeggiante e collinare dell’areale di produzione, che comprende i territori litoranei, la Sabina
    romana, i Colli Albani, i Colli Prenestini e parte della Campagna romana, e l’esposizione ad ovest, sud-
    ovest, sud concorrono a determinare un ambiente arioso, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante
    dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione dei vigneti del vino «Roma». Da tale area
    sono peraltro esclusi i terreni ubicati a quote troppo basse non adatti ad una viticoltura di qualità.
    Anche la tessitura e la struttura chimico-fisica dei terreni interagiscono in maniera determinante con la
    coltura della vite, contribuendo all’ottenimento delle peculiari caratteristiche fisico chimiche ed
    organolettiche del vino «Roma».
    In particolare, i terreni di origine sedimentaria e vulcanica, sono costituiti sedimenti alluvionali e marini,
    quali travertini, sabbie, ghiaie, limi a volte coperti da depositi alluvionali recenti, da depositi formatisi in
    ambiente fluvio-palustre costituiti da alternanze di livelli sabbiosi, sabbioso-argillosi, da argille di
    ambiente batiale e circalitorale, sabbie e calcareniti di ambiente infralitorale, sabbie di ambiente costiero
    con vulcaniti albane intercalate e sabbie di ambiente eolico e fluviale (“Duna antica”). Sono presenti anche
    pozzolane (localmente dette "terrinelle"), cioè ceneri vulcaniche del tutto prive di cementazione che danno
    luogo a terreni sabbiosi, profondi, permeabili all'acqua e senza ristagni né superficiali né profondi; si hanno
    anche limi e sabbie gialle mescolate a ciottolini calcarei e silicei sparsi o concentrati e argille azzurre e
    grigie di ambiente lacustre e terreni riconducibili alle terre rosse con tessitura argillo-limosa che
    presentano, in genere, limitato spessore ed un sottosuolo coerente. Trattasi di terreni con caratteristiche tali
    da renderli idonei ad una vitivinicoltura di qualità.
    Anche il clima dell’areale di produzione, caratterizzato da precipitazioni abbondanti (1065 mm), con
    scarse piogge estive (105 mm) ed aridità nei mesi di luglio e agosto, più pronunciata e presente anche nel
    mese di giugno, e sporadicamente anche a maggio, alle quote più basse, da una buona temperatura media
    annuale (14.2 °C), unita ad una temperatura relativamente elevata e ottima insolazione nei mesi di
    settembre ed ottobre, caratterizzato nella fase finale, da una elevata escursione termica tra notte e giorno,
    consente alle uve di maturare lentamente e completamente, contribuendo in maniera significativa alle
    particolari caratteristiche organolettiche del vino «Roma».
    Per la categoria vino «Roma» il legame con l’ambiente è dato dalla in particolare la combinazione tra le
    caratteristiche del terreno ed i fattori climatici, che determinano per i vini bianchi, la produzione di
    significative quantità di precursori aromatici che consentono di esaltare le caratteristiche organolettiche
    e i sentori tipici dei diversi vitigni e per i vini rossi un’ottimale maturazione fenolica, che unita ad un
    ottimale rapporto tra zuccheri e acidi permette di ottenere vini caratterizzati da elevata struttura, un
    grande equilibrio fra le diverse componenti.
    Per la categoria vino spumante «Roma» il legame con l’ambiente è dato dalla combinazione tra le
    caratteristiche del terreno ed i fattori climatici, che determinano per i vini spumanti una naturale acidità
    (dotazione acidica (acido malico e citrico), con acidità reali comprese tra 3.10 e 3.30), una buona
    mineralità indotta dal terreno, una ricchezza di profumi e una bassa percentuale di polifenoli che
    garantiscono spumanti freschi, strutturati e longevi.
    Il suolo, il clima ed i fattori umani, determinano elementi analitici e organolettici specifici per le categorie
    di prodotti vitivinicoli «Roma».
    In particolare, nei vini bianchi, la combinazione tra il terreno di origine vulcanica caratterizzato da una
    reazione generalmente subacida (pH 5.5/6) ed elevata presenza di sali minerali (potassio generalmente
    superiore alle 500ppm) ed i fattori climatici che presentano, segnatamente nelle zone più acclivi, una forte
    escursione termica tra notte e giorno (+- 10°C), favorisce l’accumulo nei grappoli principalmente di acido
    malico che determina la produzione di terpeni responsabili degli aromi varietali con l’ottenimento di un
    vino fresco ed equilibrato.
    Nei vini rossi, la componente argillosa (compresa tra il 15 ed il 30%) presente nei terreni alluvionali di
    origine vulcanica e dotati di elevate quantità di potassio, associate alle basse rese per ettaro delle uve
    (massimo 10 tonn/ha), unita alle escursioni termiche tra notte e giorno (+-13) e all’ottima insolazione che
    generalmente è presente nel mese di ottobre (le famose ottobrate romane), consentono alle uve di maturare
    lentamente e completamente: l’ottimale rapporto tra zuccheri ed acidi unitamente alla maturazione
    fenolica, permette di ottenere gradazioni alcoliche sempre superiori ai 12° con acidità titolabile mai
    inferiore a 4,5 g/l, dando luogo a vini caratterizzati da buon aroma, elevato equilibrio, struttura, corpo”
    La millenaria storia vitivinicola riferita alla terra del «Roma», dall’epoca romana, al medioevo, fino ai
    giorni nostri, attestata da numerosi documenti, è la generale e fondamentale prova della stretta connessione
    ed interazione esistente tra i fattori umani e la qualità e le peculiari caratteristiche del «Roma».
    Ovvero è la testimonianza di come l’intervento dell’uomo nel particolare territorio abbia, nel corso dei
    secoli, tramandato le tradizionali tecniche di coltivazione della vite ed enologiche, le quali nell’epoca
    moderna e contemporanea sono state migliorate ed affinate, grazie all’indiscusso progresso scientifico e
    tecnologico, fino ad ottenere i rinomati vini «Roma», le cui peculiari caratteristiche sono descritte
    all’articolo 6 del disciplinare.
    Nella storia di Roma, dalle origini alla caduta dell’Impero, il vino ha sempre svolto un ruolo di primo piano
    e per giunta polivalente: accanto alla sua indispensabile funzione nell’alimentazione quotidiana, ha avuto
    un posto di rilievo anche nel campo della medicina ed in ambito religioso, raggiungendo il culmine della
    sacralità con il Cristianesimo.
    Agli inizi dell'età imperiale la coltivazione della vite si estese ulteriormente (anche in terreni fertili per
    ottenere più elevate produzioni) allo scopo di produrre il vino necessario per soddisfare l’esportazione e
    l’aumento del consumo interno.
    I Romani destinavano a vigneto le terre più idonee e perciò preferivano il suolo vulcanico dei Colli Laziali,
    di Caere, della Sabina. Columella ci ha lasciato ne l’Arte dell’agricoltura un’interessante descrizione delle
    ville rustiche romane, dove la coltivazione principale era quella della vite. Oltre alla parte così detta urbana,
    dimora del padrone dotata di ogni genere di confort, c’era la parte detta fructuaria, dove si lavoravano e si
    conservavano, oltre al grano, soprattutto vino e olio d’oliva.
    Gabelle, proibizioni, bandi ed editti proliferarono intorno al vino, come dimostrano i regesti e i numerosi
    libri della gabella del vino conservati nell’Archivio di Stato di Roma a partire dal 1422. In tal modo il
    potere papale disciplinava la produzione nei vigneti di Roma e dei territori circostanti. Proprio sotto il
    pontificato di Paolo III il mercato romano fu invaso dai vini dei Castelli, della Sabina, dei Colli
    predestini, sia perché il vino romanesco non era sufficiente per il consumo della città, sia perché papi e
    cardinali amavano avere sulle mense vini diversi e di qualità. La diversificazione tra vino romanesco
    (quello prodotto entro sette miglia dal Campidoglio) e vino dei Castelli è attestato fino al XIX secolo.
    Nel 1539, Sante Lancerio, bottigliere di Paolo III Farnese, nella sua opera Della natura dei vini e dei
    viaggi di Paolo III descritti da Sante Lancerio suo bottigliere, ci ha lasciato numerose informazioni sui
    vini romaneschi, per la gran parte robusti e adatti all’invecchiamento. I migliori, a suo dire, erano quelli
    che si producevano dalle vigne sul Gianicolo, fuori dalla Porta di San Pancrazio, in Vaticano e a Monte
    Mario, conosciuto come il vino di maggior pregio.
    Per quanto concerne il vino romano, il periodo più nero coincise con il trasferimento del Papato ad
    Avignone agli inizi del XIV secolo. Durante il pontificato dei Papi Avignonesi, infatti, i vini italiani in
    genere furono temporaneamente messi in disparte a favore di quelli francesi. Intorno alla prima metà del
    XVI secolo, toccò a Paolo III della famiglia Farnese (1534- 1549) rendere nuovamente giustizia al vino
    nostrano, che finalmente tornò a troneggiare sulle mense papali. Sui sette colli sorsero splendide ville
    attorniate da giardini, boschi e soprattutto vigne, dove nobili, cardinali e gli stessi papi trascorrevano le
    loro vacanze.
    Nel 1596 il Bacci in Sulla storia dei vini, dei vini d’Italia e dei conviti degli antichi in sette libri, ci
    conferma che la Roma cinquecentesca è una città ammantata di vigneti e si sofferma ad elencare le vigne
    più importanti: quelle di San Pancrazio, di Porta Pinciana e di Monte Mario, che producono i vini
    romaneschi migliori, moscatelli e trebbiani, e poi quelle sull’Aventino, il Celio, il Quirinale e
    l’Esquilino, anch’esse di discreta qualità. Per quanto concerne i vini dell’hinterland romano, si parla dei
    vini di Ariccia e di Albano, per il quale l’autore esprime particolare lode, di Marino, di Colonna, del
    Tuscolo, di Castel Gandolfo e di Velletri, nell’area dei Castelli Romani.
    Anche lo scrittore francese Michel de Montaigne, fermatosi a Roma tra il 1580 e il 1581, narra nel
    Giornale di viaggio in Italia le sue giornate romane impegnate a visitare antichità e vigne, indicando tra
    le più degne di nota quella d’Este a Monte Cavallo (l’odierno Quirinale), la Farnese sul Palatino e quella
    di Villa Madama. La Roma papale si ammanta di verde riempiendosi di ville e di vigne. Nella Pianta di
    Roma di Leonardo Bufalini, redatta nella prima metà del XVI secolo, si contano 43 vigne. Anche il
    gesuita Eschinardi nella Descrizione di Roma e dell’agro romano(1750), oltre a citare numerose vigne
    all’interno delle mura, riporta a conferma dell’estensione della coltivazione “…vigne, le quali per
    l’ordinario si stendono fuori Roma tra le due e tre miglia”.
    Nei primi decenni del diciannovesimo secolo i vigneti sono presenti in tutta Roma in grande numero,
    tanto che sia il Venuti nella Accurata e succinta descrizione topografica delle antichità di Roma (1824)
    che il Nibby in Roma nell’anno 1838, riportano ben 120 toponimi di vigna, tutti entro le mura o nelle
    immediate vicinanze. E a testimonianza di questa ’”epoca d’oro” rimane la toponomastica di molte vie
    romane: Vigna Clara, Vigna Stelluti, Vigna Pia, Via delle Vigne Nuove, via di Vigna Fabbri, Vigna
    Murata, via di Vigna Putti. Famose erano le vigne di alcuni pontefici come quella di Clemente VII, a
    Monte Mario. Rinomata anche la villa di Sisto V sull’Esquilino, costruita anche questa nel bel mezzo di
    una vigna, posta nel luogo più elevato di Roma e quella di Leone XIII (1878-1903). La più nota però era
    la villa di Giulio III (1550-1555), che si trovava in una zona di Roma conosciuta un tempo come Vigna
    Vecchia, nei pressi di Villa Borghese. Si dice che il pontefice amasse talmente dedicarsi alla sua vigna
    da trascurare persino il concistorio. Villa Borghese nacque nel 1580 intorno ad una vigna, alla quale se
    ne aggiunsero altre fino al 1833. Tra le numerose stampe che Bartolomeo Pinelli ha dedicato alle vedute
    romane, ce ne sono alcune che testimoniano che ancora fino al XIX secolo si vendemmiava a Villa
    Borghese come sull’Aventino. Tra le testimonianze tecniche risalenti alla fine dell’Ottocento e relative
    alla coltivazione della vite nel territorio romano, preziosissima è la monografia dell’onorevole Camillo
    Mancini, pubblicata nel 1888 ed intitolata Il Lazio viticolo e vinicolo. Vi si apprende che la viticoltura
    avveniva ancora essenzialmente secondo i precetti del latino Columella e che, specie dentro Roma, si
    coltivavano comunemente in mezzo ai filari finocchi e carciofi con il deprecabile risultato, a giudizio
    dell’autore, di conferire al vino il classico sapore amarognolo proprio del carciofo. Sempre il Mancini ci
    informa che i vitigni più comuni a quei tempi erano il trebbiano verde e bianco, il bello e il buonvino
    per quanto concerne i vini bianchi, il cesanese, il buonvino rosso, la lacrima e l’aleatico per i rossi. In
    Agricoltura e quistioni economiche: che la riguardano, (1860) Vol. 2, Frédéric Passy riporta “La coltura
    della vigna è nondimeno una di quelle che più aggradiscono gli abitanti, è la sola che si permetta il
    romano, e Roma è tutta circondata di vigne e vigneti. Si va alla vigna come fra noi si andava ai campi
    per diporto, ed ogni villa suburbana porta scritto sul sommo della sua entrata Vigna di…., e il nome del
    proprietario. Si usano insieme negli Stati Romani due metodi di coltura affatto diversa: l'una,
    generalmente in uso nei dintorni di Roma e nelle paludi Pontine, consiste a sostenere il tralcio per mezzo
    di canne che si fanno espressamente crescere in grandissimo numero..”.
    Con la crescita urbana di Roma iniziata subito dopo il 1870, l’estensione delle vigne si ridusse e le
    produzioni si allontanarono dalle zone di consumo. L’espansione della città continuò prevalentemente
    lungo gli assi della Flaminia, Salaria, Nomentana, Tiburtina e dell’Appia. L’urbanizzazione comportò
    la concentrazione delle produzioni nelle zone maggiormente vocate: Castelli Romani, Cerveteri, Sabina.
    Anche se la vite si “allontana” dalla città di Roma, resta un elemento di aggregazione e richiamo nella
    cultura popolare.
    Il vino è ancora oggi una voce importante dell’economia del territorio romano e, come ai tempi di
    Virgilio, Bacco continua a prediligere i colli, cosicché soprattutto l’hinterland romano appare
    inequivocabilmente vocato all’antica coltura.
    Articolo 10
    Riferimenti alla struttura di controllo
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    RINA AGRIFOOD S.p.A. è l’Organismo di controllo autorizzato dal Ministero dell’agricoltura, della
    sovranità alimentare e delle foreste, ai sensi dell’articolo 64 della legge n. 238/2016, che effettua la
    verifica annuale del rispetto delle disposizioni del presente disciplinare, in conformità alla vigente
    normativa dell’U.E., mediante una metodologia dei controlli combinata (sistematica ed a campione)
    nell’arco dell’intera filiera produttiva (viticoltura, elaborazione, confezionamento).
    In particolare, tale verifica è espletata nel rispetto di un predeterminato piano dei controlli, approvato
    dal Ministero, conforme al modello approvato con il D.M. 7552 del 2 agosto 2018, pubblicato nella
    Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, Serie generale, n. 253 del 30.10.2018 e successive
    modifiche ed integrazioni.